martedì 25 novembre 2014

Prevenire le recidive della calcolosi renale: i cibi da evitare e i consigli da seguire

L'American College of Physicians ha stilato nuove linee guida analizzando al letteratura scientifica degli ultimi 66 anni

Sono piccoli ma provocano tanto dolore: chi li ha sperimentati almeno una volta nella vita può confermarlo. I calcoli renali - piccole formazioni cristallizzate che si costituiscono all'interno delle vie urinarie causando ostruzione, dolore e infezioni - non solo sono molto dolorosi ma, una volta che hanno fatto il loro esordio, tendono a tornare: la percentuale di persone che, dopo aver sofferto di calcolosi renale, rischia di sviluppare nuovamente la condizione entro 5 anni dalla prima manifestazione della patologia è compresa tra il 35 e il 50%. Proprio per limitare al minimo le recidive di calcolosi renale i ricercatori dell'American College of Physicians (ACP) hanno messo a punto e pubblicato sulle pagine della rivista Annals of Internal Medicine delle nuove linee guida per la pratica clinica. I risultati dello studio dei ricercatori statunitensi provengono dall'analisi della letteratura scientifica condotta sull'argomento in 66 anni (dal 1948 a oggi).

La raccomandazione principale per evitare che i calcoli renali tornino a formarsi è assumere molti liquidi (acqua, brodo e tisane, meglio se non zuccherate) nel corso della giornata: "Una maggiore assunzione di liquidi durante il giorno - spiega David Fleming, presidente dell'ACP - può diminuire le recidive di calcolosi renale di almeno la metà, e praticamente senza effetti collaterali. Tuttavia - precisa - le persone che bevono già la quantità raccomandata di liquidi non devono aumentarla ulteriormente". A quanto ammonta la quantità di liquidi corretta? Acirca due litri, ovvero tanta quanta - spiegano gli esperti Usa - serve a far produrre almeno due litri di urina al giorno. Gli studi condotti dai ricercatori Usa hanno messo in evidenza che non sussiste alcuna differenza nelle prevenzione delle recidive dei calcoli renali tra l'acqua di rubinetto e specifiche acque in bottiglia dagli effetti diuretici. Le ricerche hanno inoltre messo in evidenza che un aiuto nella prevenzione può arrivare dalla diminuzione del consumo di bibite acidificate con acido fosforico, come la cola, mentre "via libera" può essere data alle bevande analcoliche aromatizzate alla frutta e ai succhi di frutta, acidificati con acido citrico.

Alcune raccomandazioni in campo alimentare possono inoltre aiutare a prevenire la formazione dei calcoli renali, favoriti dall'assunzione di ossalati alimentari (derivati dell'acido ossalico, i cui sali sono poco solubili e favoriscono i calcoli renali), dalle purine (particolari acidi nucleici) e dalle proteine animali. Gli esperti hanno quindi stilato unaclassifica di cibi "off limits" per chi ha già sofferto di calcoli renali perché ricchi di ossalati alimentari - cioccolato, barbabietole, noci, rabarbaro, spinaci, fragole, tè, crusca di frumento - e raccomandano un consumo moderato di proteine animali e di purine, contenute soprattutto nella carne e in alcuni tipi di pesci.

Zero grassi e tante fibre: il benessere (per tutte le taglie) arriva dalle pere

Stimolano l'attività dell'intestino e difendono quest'organo dallo sviluppo di infiammazioni, aumentano il senso di sazietà, favoriscono il mantenimento del peso corporeo nella norma (e facilitano la perdita di peso in caso di sovrappeso o obesità), aiutano a tenere sotto controllo i livelli di colesterolo e della pressione sanguigna e proteggono l'organismo dallo sviluppo di molte patologie connesse alla presenza di stati infiammatori come le malattie cardiovascolari, il diabete, il cancro e l'obesità: il merito è delle pere e dell'alto quantitativo di acqua, fibre e sostanze antiossidanti in essi contenuti. 

Ma quali sono le caratteristiche nutrizionali delle pere? Un frutto di media grandezza - circa 180 grammi - contiene 100 calorie, 0 grammi di grassi, 27 grammi di carboidrati (tra cui 17 grammi di zucchero e 6 grammi di fibre) e 1 grammo di proteine. Consumare ogni giorno una pera di questo peso apporta all'organismo il 12% del fabbisogno giornaliero di vitamina C, il 10% di vitamina K e il 6% di potassio, oltre a modiche quantità di calcio, ferro, magnesio, riboflavina, vitamina B-6 e folato. 

Alcuni preferiscono le varietà croccanti, altri quelle che tendono a sciogliersi in bocca. Mangiarle alla fine del pasto non è l'unico modo per consumarle: diverse sono anzi le ricette che possono essere realizzate per aumentare il consumo di questo frutto. tanto per fare un esempio, le pere possono essere inserite in diversi tipi di torte (la torta con le pere è una valida sostituta di quella con le mele); possono essere utilizzate, da sole o con altri frutti, infrullati a base di latte o yogurt; possono essere incorporate all'interno di insalate o utilizzate come stuzzichino da accompagnare a fettine di formaggio; per i più piccoli, infine, possono venire grattuggiate o cotte e ridotte in purea.

Attenzione, però, a non esagerare con le quantità: un consumo eccessivo di questo frutto può - in virtù dell'alto quantitativo di fibre contenute - provocare eccessiva motilità intestinale, portando alla diarrea.

lunedì 24 novembre 2014

Intolleranze alimentari: sintomi, test e dieta da seguire

Quando si parla di intolleranze alimentari, può capitare di fare confusione con le allergie. Più che altro le intolleranze si dovrebbero considerare delle reazioni avverse nei confronti di alcuni cibi, la cui risposta arriva direttamente da parte dell’intestino, che recepisce alcuni alimenti come potenzialmente tossici e quindi scatena un’azione infiammatoria. Come conseguenza si hannosintomi di diverso genere, che possono essere evitati, portando avanti una dieta specifica, che non includa determinati cibi. Per la diagnosi del disturbo ci sono alcuni test attendibili, fra i quali quello del dna.

I sintomi

sintomi delle intolleranze alimentari vanno interpretati come segnali d’allarme, attraverso i quali il corpo esprime qualcosa che non va nell’ambito del proprio equilibrio. Il quadro sintomatologico è spesso molto ampio e coinvolge molti organi e apparati. I sintomi sono simili a quelli delle allergie alimentari. Si possono avere disturbi gastrointestinali, come gonfiore,diarreastitichezzasindrome del colon irritabilereflusso gastroesofageo e colite. Possono presentarsi sintomi cutanei, come l’orticaria, vari tipi di dermatiti, eczemi e prurito in generale.
Il soggetto può presentare affezioni respiratorie, come sinusiti, asma e riniti, dolori muscolari, crampi, mestruazioni irregolari, prostatiti, vaginiti oppure anomalie che si riferiscono alla sfera nervosa, come mal di testa, stanchezza, difficoltà di concentrazione, sonnolenzaansia oinsonnia.
Nei bambini non è detto che si manifestino sintomi esclusivamente intestinali, ma spesso segnali che devono destare l’attenzione sono anche altri, che apparentemente non sembrano essere correlati: anemia, carenza di acido folico, rachitismoinappetenza, oltre che feci più chiare del dovuto o emissioni di feci abbondanti.
I test
Di test per le intolleranze alimentari ce ne sono tanti, anche se alcuni possono essere considerati non convenzionali. Fra questi, ad esempio, il citotossico, che si basa sulla possibile reazione dei globuli bianchi, i quali subirebbero una modificazione nella forma. In questo test ilsangue dei pazienti viene messo a contatto con alcuni alimenti, osservando il comportamento proprio dei globuli bianchi. Più volte le autorità sanitarie hanno affermato l’importanza di svolgere test attendibili, che possano dare risultati comprovati scientificamente.
Ad esempio, c’è il prick test. Si pongono alcune gocce di allergene sulla pelle, che viene leggermente graffiata, e si controlla se, nel giro di 20 minuti, compaiono gonfiore e arrossamento. Ci sono anche metodi radioimmunologici (rast test) o immunoenzimatici, come CAP-System, che vengono applicati alle analisi del sangue, le quali consistono nella ricerca di un tipo specifico dianticorpi, le immunoglobine E. Gli esami cutanei non dovrebbero essere utilizzati su larga scala, perché potrebbero dare anche dei falsi positivi.
In ambulatori attrezzati si può eseguire il test di provocazione orale: si somministrano degli alimenti sotto forma di gocce o di capsule e si osservano le eventuali reazioni che si sviluppano.
E’ stato anche inventato un test del dna, ma funziona davvero? C’è disaccordo nel mondo scientifico, perché molti ritengono che non sia possibile fare una diagnosi certa di intolleranza alimentare tramite le analisi del dna. In genere questo tipo di test è acquistabile online al costo di 99 euro e viene promesso anche un piano nutrizionale personalizzato. Gli esperti, comunque, avvertono che non ci si può fidare, perché perfino alcune acque minerali o degli additivi possono essere responsabili di disturbi.
La dieta
La dieta per le intolleranze alimentari non deve essere necessariamente un’alimentazione che si basi sull’esclusione di alcuni cibi in particolare. Procedendo in questo modo, non faremmo altro che rischiare di provocare danni all’organismo. Ad esempio, se si è intolleranti al lattosio, non si devono eliminare dalla dieta tutti i prodotti a base di latte. Più che altro si deve innanzi tutto evitare il sovraccarico degli alimenti disturbanti, non consumandoli ripetutamente e a lungo.
La strategia da adottare è quella di inserire i cibi in un piano di rotazione nella settimana, che possa essere personalizzato. Se per un periodo lungo non assumiamo un cibo, nei confronti del quale siamo intolleranti, e dopo per caso ci capita di assumerlo, le conseguenze possono essere gravi, fino ad arrivare allo shock anafilattico. Dobbiamo fare in modo che l’organismo non perda la memoria immunologica, che ha acquistato nel periodo dello svezzamento. Allo stesso tempo la dieta che faremo sarà anche dimagrante, contribuendo ad eliminare il grasso in eccesso, che si configura come una risposta di disagio da parte del nostro organismo.


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