mercoledì 16 ottobre 2019

Il radon: cos'è e come combatterlo?

Mi hanno detto che vivo in un’area in cui vi sono alte concentrazioni di radon: cosa posso fare per limitare l’esposizione e quali azioni sono in corso per salvaguardare la nostra salute?

Risponde Mauro Magnoni (nella foto), dirigente responsabile della struttura radiazioni ionizzanti di ARPA Piemonte (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente)

Il radon è un gas radioattivo di origine naturale, inodore, incolore e insapore; tutte caratteristiche che non lo rendono percepibile dai nostri sensi e perciò difficile da individuare e da quantificarne la presenza.
Il radon si trova principalmente nei locali, specie quelli a diretto contatto con il suolo, come cantine, scantinati, taverne, garage, perché il terreno è la fonte principale in cui questo gas abita, con possibilità tuttavia di arrivare ad irradiarsi anche negli ambienti dei piani più alti.
Oltre al suolo e alle rocce in cui sono presenti i suoi precursori (uranio e radio), ci sono anche altre vie di trasmissione del radon: pavimentazioni e pareti a contatto con il suolo e non adeguatamente isolate da fratture e fessure, tubature e canalizzazioni non ben sigillate (che andrebbero quindi sempre ben controllate se si vive in una zona più a rischio).
Il pericolo maggiore del gas radon è correlato all’inalazione: inspirato in quantitativi in eccesso e per periodi prolungati, può infatti provocare seri danni alla salute, in particolare ai polmoni, qualificandosi come seconda causa di rischio per l’insorgenza di un tumore, dopo il fumo (questo significa che i fumatori che vivono a contatto con il radon corrono un rischio in più di malattia).
Un aspetto ‘positivo’ però c’è: difendersi dal radon è relativamente semplice, grazie alla sua volatilità, vale a dire alla sua capacità di disperdersi rapidamente e facilmente nell’aria. Ragion per cui la prima prevenzione per combattere questo gas è la costante areazione dei locali nei quali è riconosciuta la sua presenza
Gli effetti più dannosi del radon non sono però dovuti al radon in sé, bensì dai suoi “prodotti di decadimento”, cioè ad altri elementi radioattivi non gassosi generati dal radon che, attaccandosi al particolato atmosferico presente in ogni ambiente, entrano facilmente in profondità nell'apparato respiratorio irraggiando in particolare le cellule dei bronchi.
Stimare la presenza o la concentrazione di questo gas negli ambienti domestici o di uso quotidiano come le scuole o i luoghi di lavoro, soprattutto se interrati – dove di norma si trova maggiormente - non è semplice poiché le concentrazioni possono variare sia da spazio a spazio (anche tra edifici vicini) sia nel tempo, tra giorno e notte, estate e inverno e tra diverse condizioni meteorologiche.
A causa di queste fluttuazioni, per avere una valutazione attendibile del quantitativo medio di radon presente nell’aria di un ambiente, è necessario procedere a una misurazione per un periodo prolungato, di qualche mese almeno. L'ideale sarebbe procedere a una misurazione su base annuale, effettuandola con appositi strumenti (dosimetri passivi) in grado di registrare le tracce delle radiazioni emesse, proporzionali alla concentrazione del gas nell’ambiente.
Una volta quantificata la presenza del radon, a seconda del risultato ottenuto, si potrà valutare l'opportunità di procedere a una bonifica. Una recente direttiva europea fissa come limite, sia per le abitazioni che per i luoghi di lavoro, un valore medio annuale di 300 Bq/m3 (Becquerel al metro cubo).
Anche se non è possibile eliminare del tutto il radon dagli ambienti in cui si vive (tracce di questo gas sono comunque sempre presenti anche nell'atmosfera libera), è però possibile ridurne la concentrazione al di sotto dei limiti di legge attuando dei semplici interventi edilizi sulle abitazioni esistenti o adottando criteri anti-radon in stabili di nuova costruzione.
Da segnalare l’impegno intrapreso dall’Italia, dal 2002, con l’elaborazione di un Piano nazionale radon (Pnr) a cui partecipa un gruppo multidisciplinare di esperti che punta a realizzare nei prossimi anni tutte le azioni necessarie per affrontare e contenere il problema radon a salvaguardia della salute del cittadino. Informazioni più di dettaglio sulla situazione radon nelle regioni italiane e anche indicazioni sulle possibili azioni di bonifica si  possono reperire interpellando le varie Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente (ARPA) e consultando i rispettivi siti internet.

Tutta la frutta stagionale dei mesi autunnali


Perché è importante scegliere la frutta di stagione

Le motivazioni che devono condurci ad una scelta del genere sono davvero tante, e soprattutto possono generare benefici molteplici, sia per la nostra salute, che per l’ambiente circostante. Il tutto senza dimenticare uno sguardo alla variabile economica; infatti non è certamente prioritaria, ma neppure trascurabile, l’idea di risparmiare qualche soldino. Proviamo però a chiarire ed approfondire questi concetti.
  1. Assenza o quantità ridotta di pesticidi. L’attenzione ai temi della salute è sempre più elevata, le persone comprendono quanto sia importante salvaguardare il proprio benessere fisico e lo fanno consumando quantità sempre maggiori di frutta. Benissimo, tutto corretto da un punto di vista concettuale. Allo stesso tempo bisogna tenere in considerazione il fatto che la frutta di stagione cresce più forte in maniera naturale, non è vittima degli attacchi di insetti e parassiti e, di conseguenza, ha bisogno di pochissimi pesticidi per arrivare ad una maturazione ottimale.
  2. Aumento delle proprietà benefiche. Direttamente collegato al punto precedente è l’aumento delle proprietà benefiche per il consumatore. La frutta di stagione è molto più ricca di principi attivi e sostanze nutrienti rispetto a quella coltivata fuori periodo. Lo stesso discorso vale anche per l’apporto calorico, commisurato e proporzionale rispetto alla stagione dell’anno in cui i frutti vengono raccolti in base al loro ciclo di vita.
  3. Sapore migliore. Probabilmente non è neppure necessario spiegare che un’albicocca mangiata a dicembre è meno gustosa di quella consumata in primavera. Analogo discorso può essere fatto con riferimento ai pomodori, alle ciliegie o all’anguria. Ogni frutto ha la sua stagione, ed è solo in quella stagione che manifesta le sue migliori qualità, sia per quanto riguarda il gusto che l’aroma o il profumo. Fanno eccezione i cosiddetti frutti esotici (pensiamo ad esempio all’ananas) che, provenendo da paesi molto lontani, arrivano sulle nostre tavole in qualsiasi periodo dell’anno, e forse non abbiamo mai assaggiato il loro “reale” sapore.
  4. Rispetto per l’ambiente e la terra. Purtroppo per rispettare l’ambiente si dovrebbe scegliere innanzitutto frutta coltivata in luoghi vicini a noi. È impossibile, infatti, non considerare l’impatto ambientale dei trasporti di lungo raggio, per i quali vengono utilizzati prevalentemente combustibili fossili. Stessi combustibili che alimentano anche i sistemi di riscaldamento, raffreddamento e illuminazione delle enormi serre costruite per concederci il lusso di mangiare una zucchina durante le feste di Natale: una cosa del tutto innaturale! Rispettare l’ambiente, quindi, significa scegliere frutta compatibile non solo con la stagione in corso, ma anche con il nostro contesto climatico.
  5. Risparmio economico. Perché mangiare frutta di stagione costa meno? La risposta è più ovvia di quanto sembra, ma per essere chiari possiamo citare un report Coldiretti prodotto nel 2009. In questo report possiamo notare, ad esempio, che un’albicocca mangiata a dicembre deve arrivare dall’Australia. Ciò vuol dire: 16.000 Km di distanza, 9,4 kg di petrolio per ogni Kg di prodotto trasportato e la contestuale emissione di 29,3 kg di CO2 nell’atmosfera. Ovviamente le spese di trasporto vengono caricate sul costo di vendita finale e ricadono interamente sul consumatore. Ragionamento identico può essere fatto per la produzione in serra; in questo caso, infatti, i costi di trasporto sono semplicemente sostituiti da quelli energetici necessari alla produzione. 
Anche non volendo prendere in considerazione le conseguenze negative sulla salute, siamo certi che tutti hanno una forte sensibilità alle maggiorazioni di prezzo, soprattutto nei momenti di crisi e difficoltà economiche.

Autunno 

Tutta la frutta stagionale dei mesi autunnali
Settembre


Banane, Datteri, Fichi, Fichi d'India, Giuggiole, Melagrane, Mele, Mirtilli, Meloni, Pere, Pomeli, Pesche, Pistacchi, Ribes, Susine, Uva


Ottobre


Banane, Cachi, Datteri, Giuggiole, Castagne, Cedri, Limoni, Melagrane, Mele, Pere, Pomeli, Pistacchi, Uva


Novembre


Arance, Avocado, Banane, Cachi, Castagne, Cedri, Kiwi, Limoni, Mandaranci, Mandarini, Mele, Pere, Pomeli


Dicembre


Arance, Avocado, Banane, Cachi, Cedri, Kiwi, Mandaranci, Mandarini, Mele, Meloni, Pere, Pomeli, Pompelmi

Fonte

lunedì 3 giugno 2019

Dieta dei sette ormoni: il regime alimentare basato sui ritmi del corpo femminile



Per dimagrire non serve eliminare dalla dieta i carboidrati e i cibi più golosi, ma è necessario imparare a mangiare in modo da favorire gli ormoni, che influenzano il nostro metabolismo. Ecco come.


La dieta dei sette ormoni è un programma alimentare innovativo, ideale soprattutto per le donne che non riescono a perdere peso con le diete tradizionali. Infatti, il corpo femminile è strettamente legato agli sbalzi ormonali, il cui funzionamento dipende da alcuni cibi.
Se si mangia in modo sbagliato, i nostri ormoni non lavorano bene insieme e non ci fanno dimagrire, anche se si segue una dieta super stringata. Ecco, dunque, in che cosa consiste e come funziona la dieta dei sette ormoni.

Cos'è la dieta dei sette ormoni

La dieta dei sette ormoni è uno schema alimentare proposto dalla ginecologa americana Sara Gottfried e di cui ne parla in modo approfondito nel suo sito web. La dottoressa ci spiega che moltissimi aspetti del corpo di una donna sono soggetti alle dinamiche ormonali, così come la capacità di dimagrire. In tal senso, le donne sono molto diverse dagli uomini; come la stessa dottoressa ci spiega:
Le donne hanno meno testosterone, che attiva il metabolismo e mantiene snelli. Gli uomini sono geneticamente programmati per essere più grandi, avere più massa muscolare e meno adipe; possono dunque farla franca anche mangiando di più, e se decidono di dimagrire, ottengono spesso risultati più rapidi.
Sono dunque gli ormoni - insulina, leptina, cortisolo, estrogeni, l’ormone tiroideo, l’ormone della crescita e il testosterone - i responsabili dell’aumento di peso nella donna e anche degli attacchi di fame, della voglia di dolce e dei disturbi intestinali.

Come funziona la dieta dei sette ormoni

La dieta dei sette ormoni dura ventuno giorni e, a quanto ci racconta la dottoressa Sara Gottfried, pare sia stata molto efficace su moltissime donne, sue pazienti, che l’hanno seguita. In pratica la dieta consiste in un “reset ormonale” da fare nell’arco di questo breve periodo, durante il quale si possono perdere fino a sette chili.  
Il reset significa eliminare via via alcuni alimenti dalla dieta, che influenzano l’attività degli ormoni. Lo scopo è riattivare correttamente il metabolismo, per evitare l’accumulo di grasso, che deve essere, invece, utilizzato dall’organismo sotto forma di energia.
Funziona così: ogni tre giorni - per tre settimane -  si eliminano i cibi dannosi per il metabolismo, mantenendo quelli a favore di quest’ultimo. Tra i primi alimenti da eliminare, nei primi tre giorni, la dottoressa suggerisce la carne e l’alcol.
Al termine del reset, si possono integrano di nuovo nella dieta questi alimenti ad alta intensità nutrizionale, ma a questo punto l’organismo è capace di fornire degli impulsi che ci fanno capire cosa è bene mangiare oppure no. La dieta dei sette ormoni serve quindi anche per rieducare la donna a mangiare sano.

A chi è riservata la dieta dei sette ormoni

La dieta proposta è riservata a tutte le donne di ogni età, costituzione e peso, ma soprattutto a quelle donne ormai rassegnate e con mille sensi di colpa, per la loro incapacità di riuscire a perdere peso.
Alla base della dieta dei sette ormoni c’è, infatti, anche una componente psicologica importante. Questo programma alimentare non si pone come una costrizione, non elimina drasticamente i cibi, ma è volta a creare un equilibrio nell’alimentazione, che porta al funzionamento collaborativo degli ormoni, facilitando il dimagrimento.
Con la dieta dei sette ormoni si impara non solo a mangiare gli alimenti giusti per il proprio corpo, ma anche a ritrovare la propria autostima e a dare più importanza alla cura della propria persona. 

Alimenti sì e alimenti no

Per risincronizzare gli ormoni responsabili del metabolismo, Sara Gottfried suggerisce di eliminare dalla dieta alcuni alimenti e in questo ordine, ogni tre giorni, per tre settimane.
Ecco la lista degli alimenti no:
  1. Carne rossa e alcol: per azzerare gli estrogeni
  2. Zuccheri: per intervenire sull’insulina ed eliminare la voglia di alimenti dolci.
  3. Frutta: per riequilibrare la leptina, l’ormone della fame
  4. Caffeina: per ristabilire l’equilibrio stress e cortisolo.
  5. Cereali: per riattivare gli ormoni della tiroide, della fame e l’insulina.
  6. Latticini: per migliorare il funzionamento dell’ormone della crescita
  7. Tossine: per ripristinare anche i livelli di testosterone
Alla fine del reset ormonale, il metabolismo torna a essere attivo correttamente e avrai anche perso del peso. Dal 22° giorno in poi, si possono reintrodurre gradualmente gli alimenti che avevamo eliminato per capire come reagisce il corpo a questi ultimi.
Ad esempio, se mangiando di nuovo la carne si avverte gonfiore addominale oppure desiderio di zuccheri, è probabile che questo alimento scombussola un ormone che favorisce queste sensazioni. La dottoressa suggerisce di introdurre i cibi gradualmente e senza avere fretta.
Così è possibile capire più facilmente quali sono quelli che rallentano il metabolismo e - anche con il supporto di un medico e/o nutrizionista  - capire come proseguire la propria alimentazione per stare meglio e non ingrassare.

Modello di dieta settimanale

Un esempio di modello di dieta settimanale da seguire dopo il reset ormonale della dieta dei sette ormoni.
Colazione
  • Una ciotola con 30 grammi di avena cotta a cui aggiungere 30 grammi di semi di lino appena macinati, cannella biologica e un pizzico di sale.
  • 100/170 grammi di mirtilli o altra frutta di stagione
  • 2 uova cotte in camicia oppure uno yogurt con latte di pecora o di capra (se non si hanno problemi alla pelle, come l’acne).
Pranzo
Si consiglia di pranzare presto, verso le 12:30, per favorire il metabolismo. E il menù consigliato è, ad esempio, il seguente:
  • 100 grammi di proteine - come salmone oppure la trota
  • 170 grammi di verdure cotte - cavoli o rape
In alternativa:
  • 170 grammi di verdure crude, come zucchine e carote  
Cena
  • 100 grammi di pollo biologico
  • 170 grammi di riso condito con il cavolfiore
  • 200 grammi di insalata mista (rucola, carote, cavolo viola) con 30 grammi d’olio per condire.
Mangiare ogni giorno le verdure di tutti i colori,  aiuta a colmare le eventuali carenze di micronutrienti nel nostro organismo. Chiaramente questo modello di dieta è uno spunto; in generale è consigliato seguire un’alimentazione il più possibile varia e bilanciata, combinando tutti i tipi di alimenti.

Pro e contro della dieta

La dieta dei sette ormoni ha una base medico scientifica che in qualche modo ci dimostra la sua potenziale efficacia. Chiaramente, prima di iniziare qualsiasi programma alimentare è importante consultare il proprio medico di fiducia, per evitare danni al nostro organismo.
In caso di patologie o condizioni particolari, infatti, potrebbe essere sconsigliata tale tipologia di dieta. Ad ogni modo,la dieta dei sette ormoni pare semplice da seguire, poiché  richiede uno sforzo minimo e fattibile per qualsiasi donna, anche la più pigra. 
La dieta, inoltre, rientra in un piano generale, che considera la salute della donna, promuovendo il consumo di cibi naturali e nutrienti e un regolare esercizio fisico. Inoltre,un punto a favore del programma proposto da Sara Gottfried è la particolare attenzione sullo stato emotivo della donna, sulla gestione dello stress e sull’importanza di un sonno adeguato.
Tuttavia, ciò che può renderci un po' scettici riguardo alla dieta dei sette ormoni è il fatto che si tratta di un  programma alimentare di breve periodo, che promette la perdita di cinque / sette chili in solo tre settimane.
Anche se può essere un obiettivo possibile, per alcune donne potrebbe non essere efficace e comunque rientra in un modello alimentare drastico, generalmente poco raccomandato da nutrizionisti e medici. Perdere peso in così poco tempo potrebbe portare a riguadagnare peso subito dopo.

Consigli

In ogni caso, il consiglio è sempre quello di chiedere un parere al vostro medico di fiducia, dietologo o nutrizionista, prima di provare qualsiasi tipo di dita, compresa questa dei sette ormoni, per essere sicure di poter provare senza subire disturbi peggiori.