domenica 25 giugno 2017

Cosa beviamo? Ecco le sostanze contenute in 32 bottiglie di acque minerali




Berillio nell’acqua minerale, una sostanza che lo Iarc ritiene cancerogena, eppure non c’è nessuna legge che stabilisca che non possa essere contenuta in ciò che beviamo.
Il riassunto è un cane che si morde la coda. L’inchiesta di Report 'Chiare, fresche e dolci acque’ del 5 giugno a firma di Claudia Di Pasquale mette a nudo il mondo delle acque minerali.
Dalla sorgente alle nostre tavole per capirne l’origine e la commercializzazione. Un mercato in crescita perché secondo Report si spendono ogni anno mediamente 3.5 miliardi di euro e si imbottigliano 14 miliardi di litri.
Ciò fa degli italiani, il popolo che dopo i messicani ne consuma di più con quasi 200 litri a testa. Eppure c’è un’enorme confusione rispetto ai parametri da rispettare sulla presenza o meno di alcune sostanze, sia che si tratti di acque minerali che del rubinetto.
Sull’arsenico non ci sono dubbi, ovvero che il massimo consentito è di 10 microgrammi per litro, al di sopra l’acqua diventa non potabile.

L'analisi di 32 acque minerali

Report ha fatto analizzare 32 acque minerali, tra le più note e tra quelle che si erano distinte in uno studio realizzato dall'università di Napoli per la presenza di alcuni valori.
I risultati sono tutti nella norma, ma alcuni marchi contengono quantità più elevate di arsenico, come ad esempio la Levissima che raggiunge quota 6, mentre la migliore è la San Benedetto che ne ha 0,40, mentre la Ferrarelle 4,47.
Ma fin qui niente di eccezionale perché comunque tutte rispettano le norme stabilite, ciò che preoccupa è invece la presenza di livelli elevati di berillio:
 
Ma “uno può assumere tranquillamente acqua che contiene berillio e chi la produce non è assolutamente fuori legge perché non c’è la legge”, dice durante la trasmissione Benedetto De Vivo, professore di Geochimica all’Università Federico II di Napoli.
Altra domanda di Di Pasquale: “Oggi il limite del manganese è di 50 microgrammi per l’acqua potabile ma 500 per le acque minerali, perché?"
Per quanto riguarda l’alluminio Luca Arcangeli, direttore sanitario dell’Arpa Lazio, precisa che il limite per le acque potabili
“è di 200 microgrammi per litro, mentre per le acque minerali non ha limite”. Per il fluoruro invece “le acque potabili hanno un limite di 1,50 e quelle minerali di 5”.

Fonte 

Colorante E150 caramello: fa davvero male? Il parere dell’esperto





Come sappiamo, gran parte dei prodotti confezionati contengono diversi additivi alimentari usati per conservare, colorare, aromatizzare, ecc. insomma fare in modo che cibi e bevande siano più gradevoli alla vista, buoni al sapore e a lunga scadenza. Oggi ci soffermiamo sul colorante E150 caramello. Di cosa si tratta esattamente?
Quando parliamo di caramello generalmente indichiamo quel composto realizzato con acqua e zucchero dal caratteristico colore marroncino e dal sapore dolce. L’industria alimentare, con lo scopo di rendere di colorito più appetibile bevande e cibi, ne utilizza diversi tipi di origine chimica tutti racchiusi sotto la sigla E150.

Caramello E150: tipi

Sulle confezioni di cibi e bevande possiamo trovare la sigla E150 seguita da una lettera: a, b, c, d. Ma quali sono le differenze? A seconda del reagente (ammoniaca, solfito o nessun reagente) con cui si realizza il caramello questo si divide in:
  • E150a: caramello semplice
  • E150b: caramello solfito caustico
  • E150c: caramello ammoniacale
  • E150d: caramello solfito ammoniacale
Sotto accusa, in quanto ad eventuali effetti sulla salute dei consumatori, è finito più volte soprattutto il caramello E150d ma anche l’E150c, ovvero quelli realizzati su base ammoniacale. Questi, secondo diversi studi, sarebbero in grado di rilasciare alcune sostanze potenzialmente cancerogene.

Caramello E150: dove si trova

Il problema, come sempre, è che gli additivi alimentari (E150 compreso) si trovano in un’infinità di prodotti e dunque non è poi così difficile abusarne senza neppure rendersene conto. Possiamo infatti trovare i diversi tipi di caramello in:
Ma in generale in molti altri alimenti confezionati. Come sempre vi consigliamo di leggere con attenzione le etichette dei prodotti che acquistate.
Caramello E150, il parere dell’esperto !
 Per sapere qualcosa in più su questo additivo e capire se è davvero pericoloso per la nostra salute abbiamo chiesto un parere a Veronica Di Gaetano, Biologa nutrizionista e Tecnologa Alimentare. Ecco cosa ci ha detto:

Cos'è esattamente il caramello E150, dove si trova più frequentemente e perché l'industria alimentare lo utilizza?
“Il caramello E150 rientra nella classe degli additivi alimentari in particolare è un colorante artificiale, uno zucchero trattato con acido solforico e ammoniaca. Esistono 4 tipi di colorante caramello E150 e sono identificati con le lettere a,b,c,d, utilizzati tutti dalle industrie alimentari per conferire il caratteristico colore caramello e rendere il prodotto più gradevole alla vista del consumatore. Questi coloranti si trovano in molte bibite, dalle cole al chinotto, ginger, the, birre, superalcolici, liquori digestivi, in molte caramelle, in aceti balsamici e salse di soia, in diversi prodotti dolciari come i biscotti, dolci surgelati, gelati, snack, barrette dimagranti, succedanei del caviale, pane scuro e in tanti altri alimenti confezionati”.
Ci sono studi che ne hanno provato la pericolosità?
“E’ stato messo sotto accusa un sottoprodotto dei coloranti E150c - E150d che e’ il 4-MEI (4 metilimidazolo), residuo non voluto del processo di produzione dei caramelli a base di ammoniaca. La ricerca è stata condotta dallo Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Oms, che ha classificato il 4-MEI tra le 249 sostanze potenzialmente cancerogene per l'uomo, cioè nel cosiddetto gruppo 2B. Il 4-methylimidazolo è stato testato riguardo alla carcinogenicità in topi e ratti e ha causato l'aumento dell'incidenza dei carcinomi degli alveoli e dei bronchi nei topi maschi e femmina, e della leucemia nei topi femmina. 'Il meccanismo di carcinogenesi non è stato ancora chiarito', spiega lo Iarc. Anche altri costituenti sono stati vagliati, come il 2-acetil-4- tetraidrossibutilimmidazolo (THI), derivante dal processo di produzione del caramello E150c”.
E’ stata stabilita una dose massima da non superare? 
“Dopo un’attenta analisi della letteratura scientifica sul 4-MEI, il gruppo di esperti scientifici sugli additivi alimentari e sulle fonti di nutrienti aggiunti agli alimenti (ANS) dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha ritenuto che il livello più alto di esposizione al 4-MEI che potrebbe derivare dal consumo di alimenti contenenti i coloranti E150c ed E150d non desta preoccupazione. Pertanto, il livello massimo stabilito per i coloranti E150 è di 300 mg per kg di peso corporeo al giorno (mg/kg pc/giorno), tranne che per il caramello E150c, per cui è stata fissata una dose giornaliera accettabile (DGA) più restrittiva di 100 mg/kg pc/giorno. Questa differente valutazione dipende dal fatto che nel caramello E150c è stata rilevata la presenza del composto THI (2-acetil-4-tetraidrossibutilimmidazolo) che potrebbe avere effetti negativi sul sistema immunitario”.
Come possiamo evitarlo?
“Il vero problema è che nelle etichette dei vari alimenti e bevande non è indicato il dosaggio degli additivi e quindi il consumatore non può conoscere l’effettiva quantità ingerita. Per tale motivo l’Efsa chiede all’industria di ridurlo al minimo tecnologicamente possibile. Si legge, infatti, nella nota dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare: ‘Adulti e bambini che fanno ampio consumo di alimenti contenenti questi coloranti possono superare le dosi giornaliere accettabili stabilite per tre dei coloranti in questione (E150a, E150c, E150d), nel caso in cui tali coloranti vengano utilizzati ai massimi livelli riferiti dall’industria’. Inoltre bisogna considerare che molti degli alimenti che contengono questo colorante rientrano fra i prodotti che spesso vengono proposti troppo spesso ai bambini. Ovviamente il bambino avendo una superficie corporea inferiore all’adulto è maggiormente esposto a un sovradosaggio e quindi ad un rischio maggiore per la sua salute. Per un bambino di 15 chili, infatti, basterebbe ad es. mangiare circa 4 caramelle e bere una lattina delle bibite in questione per arrivare al sovradosaggio".

Fonte 

Da una felce un possibile farmaco per i sintomi dell'Alzheimer





Sviluppato metodo per isolare composti 'realmente' attivi


Dalla Drynaria, un particolare tipo di felce, si estraggono sostanze che possono ridurre i sintomi dell'Alzheimer. Lo ha scoperto team di scienziati giapponesi dell'Università di Toyama, che ha sviluppato un metodo per isolare composti 'realmente' attivi presenti in piante medicinali. Le piante medicinali sono usate da millenni per la cura di malattie e in alcuni casi i loro principi attivi sono utilizzati per produrre farmaci. Tuttavia spesso è difficile tenere conto dei cambiamenti che accadono quando questi farmaci vengono metabolizzati dal corpo. "Quindi abbiamo cercato di sviluppare metodi più efficienti per identificare composti attivi che tengano conto di questi fattori", spiega Chihiro Tohda, autore senior dello studio pubblicato in Frontiers in Pharmacology. Per testare alcuni composti derivati dalla Drynaria Rhizome, sono stati utilizzati topi con Alzheimer indotto. Inizialmente, i ricercatori hanno trattato i topi usando un estratto grezzo di pianta macerata e osservando una riduzione dei disturbi della memoria e un aumento dei livelli di proteine amiloide e tau nel cervello. Quindi hanno esaminato il tessuto cerebrale del topo 5 ore dopo il trattamento con l'estratto, trovando che tre composti della pianta erano entrati nel cervello: la naringenina e due suoi metaboliti. Hanno quindi trattato i topi con naringenina pura e notato gli stessi miglioramenti, il che significa che era 'realmente' un composto attivo. In particolare hanno osservato che una proteina chiamata CRMP2 si lega la naringenina nei neuroni, e li induce a crescere, suggerendo che questo potrebbe essere il meccanismo attraverso cui la Drynaria migliora i sintomi della malattia.

Proteina chiave aiuta a innescare i rapidi effetti antidepressivi della chetamina nel cervello




Su Nature la scoperta che apre a nuove cure per il disturbo

Una proteina chiave aiuta a innescare i rapidi effetti antidepressivi della chetamina nel cervello. A individuarla, uno studio che costituisce un passo fondamentale per lo sviluppo di terapie altrettanto efficaci ma alternative al controverso farmaco, a volte indispensabile per i casi più gravi di disturbo depressivo.
   
Nata come anestetico e illegalmente utilizzata per le sue proprietà psichedeliche, la chetamina riesce a stabilizzare rapidamente i pazienti gravemente depressi che necessitano di un trattamento veloce ed efficace: studi hanno dimostrato che può farlo in appena un paio d'ore, rispetto ad altri antidepressivi che richiedono settimane. Tuttavia viene usata come trattamento secondario, per via dei sui effetti collaterali: può infatti ostacolare la memoria, distorcere i sensi e compromettere la coordinazione. Per identificare nuovi farmaci che replichino la stessa risposta antidepressiva ma senza gli effetti indesiderati, ricercatori del Southwestern Medical Center dell'Università del Texas hanno cercato di individuare quali proteine nel cervello costituiscono il target attraverso cui la chetamina ottiene i suoi effetti. Ne è emerso che la chetamina blocca una proteina, il recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), responsabile di una serie di funzioni cerebrali e non coinvolto nel funzionamento di altri antidepressivi a base di serotonina.
   
"Ora che abbiamo un bersaglio, possiamo sviluppare farmaci che inducano l'effetto in modo più sicuro", dichiara l'italiana Lisa Monteggia, professore di neuroscienze e autrice dello studio pubblicato su Nature. I risultati avranno importanti implicazioni per milioni di persone che non hanno ancora trovato un antidepressivo che funzioni. Fino a un terzo dei pazienti depressi, infatti, secondo uno studio condotto sempre presso l'UT Southwestern, non migliora con la prima terapia e circa il 40 per cento di chi inizia a prendere antidepressivi interrompe l'assunzione entro tre mesi.

venerdì 16 giugno 2017

IL SENO POST GRAVIDANZA: UNA DONNA A TUTTO TONDO

Mastoplastica e mastopessi possono aiutare la donna a ritrovare la propria femminilità, dopo i cambiamenti dovuti a gravidanza e allattamento.




Oltre ad essere mamma, è giusto che una donna continui a sentirsi femminile e a suo agio con il suo corpo. In questo senso, esistono accorgimenti da poter seguire in fase di gravidanza e allattamento ma anche soluzioni chirurgiche all’occorrenza.
 

GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO, IL SENO CHE CAMBIA

Durante la gravidanza, il corpo di una donna subisce delle trasformazioni naturali necessarie al fabbisogno di crescita del feto e spesso fatica, dopo il parto, a tornare alle condizioni iniziali. Il seno, infatti, nei 9 mesi di gestazione può subire un aumento considerevole, possibile causa di smagliature.

In allattamento, inoltre, può risultare dolente e pesante, e subire ulteriori modifiche. È importante, tuttavia, sottolineare che essere madre e accettare i cambiamenti nel proprio corpo non significa necessariamente rinunciare alla propria femminilità.


GLI ACCORGIMENTI DA SEGUIRE

In fase di gravidanza, si possono utilizzare delle creme specifiche per favorire l’elasticità cutanea, ma senza aspettarsi miracoli. In fase di allattamento, invece, non sono consigliati trattamenti particolari. Un’eventuale visita con lo specialista andrà preferibilmente fissata a seguito dello svezzamento del bimbo.
 

MIGLIORARE L'ASPETTO DEL SENO POST GRAVIDANZA

Dopo gravidanza e allattamento, il seno può apparire svuotato o cadente. L’intervento può essere utile sia per ripristinare e migliorare l’estetica iniziale, sia per aumentare un seno piccolo.

La mastoplastica additiva è indicata se è sufficiente un aumento con protesi; la mastopessi serve per il sollevamento delle mammelle mentre si può effettuare la mastopessi con protesi se, oltre al sollevamento, è necessario riempire un leggero svuotamento.
 

LO SVOLGIMENTO DELL'OPERAZIONE

Durante la prima visita viene illustrata la tecnica chirurgica; le incisioni per la mastoplastica additiva sono nell’areola del capezzolo. La dimensione e forma delle protesi viene stabilita seguendo i canoni estetici classici: l’armonia e l’esaltazione della femminilità sono i principi basilari per un seno naturale.

La mastopessi con o senza protesi prevede più cicatrici perché, oltre al sollevamento e riempimento del seno caduto e svuotato, bisogna riposizionare le areole e capezzoli a livelli più alti. Le protesi utilizzate sono di massima qualità e in commercio esistono diverse misure e tipologia: liscia o testurizzata, rotonda o anatomica (a goccia) di volume e proiezione variabile. Sempre in prima visita, si valuta se impiantare la protesi sopra, sotto il muscolo o dual plane.

Naturalmente, prima di qualsiasi intervento sono previste delle indagini diagnostiche, in questo caso un’ecografia mammaria o mammografia, l’elettrocardiogramma e le analisi del sangue.
 

COME ESSERE SICURE CHE IL SENO POST INTERVENTO NON APPAIA “FINTO”?

Bisogna affidarsi all’esperienza del chirurgo per ottenere un bel risultato estetico, perché l’errore più comune è quello di standardizzare e usare sempre lo stesso tipo di protesi. Al contrario, il chirurgo esperto sa personalizzare l’intervento e quindi la scelta del tipo di protesi in base alle esigenze e alla fisicità della paziente, in modo da ottenere un risultato quanto più naturale possibile.

C’è la possibilità di simulare il risultato finale indossando un particolare reggiseno con delle tasche in cui vengono inserite le protesi: questa fase è molto importante per prendere la decisione finale.
 

IL DECORSO POST OPERATORIO

Il decorso post operatorio è rilevante. La paziente viene dimessa con un bendaggio al seno e nell’immediato dovrà astenersi da lavori impegnativi e tutto ciò che implica il movimento del pettorale. Dopo qualche giorno, viene rimossa la medicazione e fatto indossare un reggiseno contenitivo.

La ripresa alla quasi quotidianità è possibile dopo circa una settimana. Per attività fisica, lavori impegnativi, sport, allenamenti, bisogna attendere la conferma del chirurgo. Tutti questi interventi garantiscono alla donna la possibilità di eseguire annualmente i controlli al seno, caldamente consigliati, e una futura gravidanza e allattamento.

6 SEGRETI ALIMENTARI PER NEOMAMME




Frutta e verdura, tanta acqua ma non solo: i consigli del medico per l'alimentazione della neomamma e del bambino.


Se è vero che le buone abitudini alimentari devono iniziare già dal pancione, si comprende facilmente quanto sia importante fornire il giusto "imprinting" al bambino fin dai primi anni di vita.

Un'educazione alimentare sana ed equilibrata, che imita i comportamenti virtuosi dei genitori e include tutti i nutrienti necessari alla crescita è una vera assicurazione per il futuro, e aiuta a prevenire sovrappeso e obesità da grandi.

Quali sono le regole che la mamma dovrebbe seguire per l'alimentazione sua e del bambino? Le abbiamo riassunte in questa breve infografica: i Segreti Alimentari per la Neomamma.





Auchan ritira Acqua Sant'Anna, ecco perché





Ritiro prodotto. La nota catena di supermercati Auchan ritira dai suoi scaffali l’acqua minerale Sant’Anna, per via del cattivo odore che emanano le confezioni.
Nello specifico l’allerta segnalata sul sito dell’Auchan riguarda le bottiglie da un litro e mezzo di acqua S. Anna Minerale Naturale, sorgente Rebruant con fornitore: Fonti di Vinadio Spa Frazione Roviera 1010 Vinadio (Cuneo). Il lotto interessato è L7012NOH con data scadenza 15-01-19.

Il richiamo è avvenuto dopo la segnalazione di diversi clienti che appena hanno aperto le bottiglie d’acqua hanno avvertito il cattivo odore. Il motivo, come si legge nella nota, potrebbe essere: una possibile alterazione organolettica (odore anomalo per eventuale presenza di tracce di H2O2/CH3COOH).
Per fortuna, nessun malore è stato associato al consumo dell’acqua, tuttavia Auchan informa che chi avesse comprato la confezione interessata può riportarla in negozio per il rimborso. L’ipotesi è che il mutamento dell’odore sia dovuto alla cattiva conservazione delle bottiglie e a un probabile choc termico.


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Bisfenolo A (BPA): ancora presente nel 38% dei cibi in scatola






Uno studio americano conferma che ancora oggi in quasi il 40% degli alimenti in scatola è presente Bisfenolo A (BPA), sostanza che viene utilizzata per rivestire le lattine migliorandone la tenuta ma dai probabili effetti tossici a lungo termine per chi lo ingerisce inavvertitamente.
Più volte abbiamo parlato dei rischi dei prodotti alimentari in scatola che possono contenere sostanze chimiche dannose. Tra questi appunto il BPA, Bisfenolo A. I ricercatori del Center for Environmental Health hanno voluto analizzare il contenuto di oltre 250 scatole di cibo che si trovano comunemente nei supermercati e negozi americani.
Secondo i risultati ottenuti, quasi il 40% degli alimenti in scatola (precisamente il 38%) contiene il tanto discusso BPA, sostanza chimica i cui effetti sulla nostra salute sono legati alla comparsa di obesità, cancro, difetti alla nascita, infertilità maschile, endometriosi e altro.
Nonostante negli Usa, ma anche in Europa a partire dal 2011, il BPA sia stato vietato nei prodotti per bambini e nelle bottiglie di plastica a causa delle tossine che rilascia, le scatolette per il cibo ancora oggi non ne sono ancora esenti.
Anche se un passo avanti è stato fatto (una ricerca simile due anni fa aveva trovato BPA nel 67% dei prodotti) secondo gli esperti non è sufficiente: la preoccupazione rimane perché i numeri attuali rappresentano ancora un pericolo per i consumatori. Il 38% è sempre troppo, l’obiettivo è infatti quello di arrivare ad una situazione di totale "BPA free".
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