venerdì 31 agosto 2018

Gelato: meglio quello artigianale o quello industriale?

Ci sono differenze o entrambe le tipologie si equivalgono? Ecco la risposta dell'esperto

Un classico dubbio dell’estate è: il gelato artigianale è davvero migliore di quello industriale? «Un tempo si pensava che quello industriale fosse più sicuro dal punto di vista igienico, ma oggi possiamo dire che i due si equivalgono» risponde Franco Antoniazzi, docente di tecnologie dei prodotti dolciari all’Università di Parma.

L’aria fa la differenza

Ciò che differenzia i due prodotti, in realtà, è qualcosa di impalpabile: l’aria. «Pochi lo sanno, ma è l’aria insufflata durante il congelamento a conferire la tipica struttura alveolata al gelato, rendendolo più morbido e scioglievole», sottolinea l’esperto. «Nel gelato artigianale, l’aria rappresenta circa il 30% del prodotto, mentre le macchine usate nella produzione industriale permettono di raggiungere anche il 100%».

In cosa differiscono

E le difficoltà per gli artigiani del gelato non finiscono qui, continua
Antoniazzi: «innanzitutto i piccoli produttori non hanno tempo e spazio per far maturare a dovere la miscela liquida con gli ingredienti. In genere serve almeno una notte affinché le molecole possano idratarsi al meglio per conferire maggiore cremosità al prodotto finale. Secondo passaggio cruciale è quello nell’omogeneizzatore, un macchinario che permette di stabilizzare il gelato: quelli migliori sono costosi e difficilmente alla portata dei piccoli produttori. Terzo e ultimo passaggio chiave è quello della maturazione allo stato congelato: il gelato, già pronto, viene lasciato a una temperatura di quasi -50°C per
stabilizzare la struttura del prodotto e migliorarne la conservazione. Questo processo esiste nell’industria e non nella produzione artigianale, ed è per questo motivo che il gelato artigianale resiste meno agli sbalzi termici».

Attenzione a chi spaccia il gelato
per “artigianale”

A scalfire il mito del gelato artigianale c’è poi anche l’abitudine dilagante tra i piccoli produttori di usare miscele di ingredienti già preparate e parzialmente lavorate dall’industria, a cui basta aggiungere poi solo l’acqua o il latte. «Lo fanno per questione di tempi e costi», spiega Antoniazzi, «e così finiamo per etichettare come “gelato artigianale” un’ampia gamma di prodotti che non sempre corrispondono alle nostre aspettative».

Fate uso di antinfiammatori? Attenzione: potrebbero compromettere la fertilità

Prima di curare un semplice mal di testa con i farmaci antinfiammatori, quindi, meglio pensarci due volte

Assumere farmaci antinfiammatori può compromettere le speranze di avere un bambino. È questo, in sintesi, il risultato di uno studio presentato in occasione del congresso annuale della European League Against Rheumatism, tenutosi a Roma lo scorso giugno.
Secondo la ricerca condotta dall‘Università di Baghdad, infatti, i farmaci non steroidei, conosciuti generalmente come farmaci “Fans”, provocherebbero un calo significativo dei livelli di progesterone e altri ormoni che intervengono nelle varie fasi della riproduzione, dall’ovulazione all’impianto dell’unità fecondata nella mucosa uterina.

Lo studio universitario

Lo studio ha coinvolto 39 donne affette da mal di schiena, che assumevano costantemente farmaci antinfiammatori. In particolare, diclofenac, naprossene ed etoricoxib. Gli scienziati hanno monitorato gli effetti provocati dall’assunzione dei farmaci, notando che solo una percentuale minima delle donne prese in esame (dal 6 al 27%) riusciva a portare a termine in maniera corretta l’ovulazione.
In particolare, ad ogni gruppo di donne che ha preso parte allo studio sono stati somministrati rispettivamente: 100 mg una volta al giorno di diclofenac, 500 mg due volte al giorno di naproxene e 90 mg una volta al giorno di etoricoxib. Al gruppo di controllo è stato somministrato invece del semplice placebo.

La ricerca empirica e le analisi ormonali

Il trattamento è durato 10 giorni, a partire dal decimo giorno dall’inizio del ciclo mestruale. Le analisi ormonali (livello di progesterone) e il diametro del follicolo sono stati analizzati rispettivamente tramite campione di sangue ed ecografia.
Alla fine del periodo di trattamento effettuato con FANS, non si è verificata rottura del follicolo nel 75 per cento, 25 per cento e 33 per cento dei pazienti trattati rispettivamente con diclofenac, naprossene ed etoricoxib. La rottura del follicolo e il successivo rilascio di un ovocita (ovulo non fecondato) sono passaggi essenziali affinché si verifichi l’ovulazione.
I farmaci FANS sono tra i medicinali più comunemente utilizzati in tutto il mondo e sono presi da oltre 30 milioni di persone ogni giorno. Disponibili senza prescrizione medica, i FANS sono in gran parte adoperati per il trattamento del dolore e le infiammazioni, condizioni comuni delle malattie reumatiche. Spesso, però, sono adoperati anche per contrastare i crampi dovuti al ciclo.
Le alternative naturali ai farmaci antinfiammatori
In natura, esistono diverse alternative ai farmaci FANS, la più conosciuta è la curcuma, utile anche per combattere l’artrite. 

sabato 18 agosto 2018

Ecco come viene prodotto il prosciutto San Daniele: l’inchiesta shock porta al sequestro di 300mila cosce


Prosciutto crudo di Parma e San Daniele coinvolti in quella che può essere definita una vera e propria ‘Prosciuttopoli’, uno scandalo di enorme portata, ma di cui nessuno parla

Non ne parla quasi nessuno, eppure la portata della vicenda è enorme e riguarda alcune delle aziende più importanti in Italia per la produzione di prosciutto crudo. Ben 300mila cosce di prosciutto San Daniele sequestrate, per un valore di 90 milioni di euro.

Prosciutto San Daniele: se la coscia non è ciò che pensiamo

Cosce di prosciutto provenienti da maiali nati con il seme di Duroc danese.Altro che Made in Italy. È questa l’accusa avanzata alle aziende produttrici di Prosciutto crudo di Parma e San Daniele da parte della procura di Torino. Una vicenda che ha portato al sequestro di ben 300mila prosciutti e di 140 allevamenti di maiali. Non solo. I due istituti di certificazione che devono controllare il rispetto dei disciplinari sono staticommissariati per sei mesi dal Ministero delle politiche agricole per gravi irregolarità. L’Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni sono due enti incaricati di sovrintendere al rispetto dei disciplinari di quasi tutte le eccellenze agroalimentari italiane.

Le accuse avanzate contro le aziende coinvolte nello scandalo

La storia ha, purtroppo, radici lontane. Si pensa, infatti, che vada avanti dal 2014 e coinvolga diversi soggetti della filiera di produzione.
Associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, falso, contraffazione dei marchi e truffa ai danni dell’Unione europea: le ipotesi di reato sono pesantissime. La frode in commercio è aggravata dall’utilizzo di capi con patrimonio genetico non ammesso dalla Disciplinare dei consorzi. In pratica, gli allevatori avrebbero usato razze di suini a crescita veloce non consentite, per avere vantaggi economici significativi.
Secondo quanto emerso dalle indagini, per inseminare le scrofe degli allevamenti italiani, sarebbe stato importato del seme di verro Duroc danese. Una pratica estremamente vantaggiosa, perché, in minor tempo e con meno mangime, genera bestie più prestanti, che rendono decisamente meglio sul mercato. Peccato che il verro italiano rappresenti proprio il fattore determinante per ottenere l’animale perfetto per il prosciutto crudo di Parma, il prosciutto San Daniele e anche il crudo di Cuneo. In fase di macellazione, infatti, la muscolatura poco matura degli animali ottenuti dal verro Duroc determina un livello di grasso sottocutaneo insufficiente, con un prodotto più magro rispetto a quello tipico del prodotto Dop.
Questa pratica sarebbe iniziata circa quattro anni fa, ma si è diffusa velocemente in molti allevamenti situati nel Nord Italia. In un anno di indagini, gli allevatori indagati sono diventati più di cento e i capi sequestrati ormai diverse migliaia.

Una situazione gravissima di cui nessuno parla

Purtroppo, nonostante la portata della notizia, sono pochissime le testate che stanno dando risalto a quello che Il Fatto Alimentare definisce una vera e propria “Prosciuttopoli”.
Il massiccio sequestro e l’eliminazione del marchio su circa 300mila cosce di prosciutto sta mettendo in ginocchio il settore. È stato dichiarato fuori norma circa il 10% della produzione nazionale. Stiamo parlando di 90 milioni di euro di fatturato.
Trattandosi di una frode commerciale, non ci sono ripercussioni sulla salute dei consumatori, ma il livello dello scandalo è enorme, trattandosi di due eccellenze alimentari italiane.
Il Consorzio del prosciutto di Parma di fronte allo scandalo ha dichiarato che «nessuna coscia dei maiali provenienti dagli allevamenti coinvolti è diventata né diventerà Prosciutto di Parma ed eventuali cosce in stagionatura sono state facilmente identificate e, se del caso, distolte dal circuito».
I due enti certificatori commissariati, accreditati per controllare le fasi di allevamento e stagionatura, invece, preferiscono non rilasciare dichiarazioni ufficiali.
Una delle tante prove che alcune derrate alimentari che vengono considerate ” di pregio ” sono spesso oggetto di truffe e di mancati controlli.

Gli sviluppi dell’inchiesta aggiornati ad agosto 2018

Tirando le somme, la procura chiude l’inchiesta con 103 indagati e sequestri per 27 milioni; i prodotti non potevano essere marchiati e fregiarsi delmarchio DOP. Si stia che questo tipo di truffe sia andato avanti per circa 10 anni prima di venire a galla in questo scandalo nazionale..
Da ricordare che la frode non riguarda soltanto la genetica; gli investigatori sono giunti a conclusione che le aziende non in regola utilizzavano anchecibi vietati dalla legge. Questi allevatori infatti utilizzavano anche scarti di produzione industriali di pane, pasta, pizza e dolci..

La posizione del consorzio dei Prosciutto San Daniele e di Coldiretti

Il consorzio del Prosciutto San Daniele ha dichiarato l’intenzione di costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento danni. Con una produzione di circa 3 milioni di cosce all’anno, questi produttori si sentono le prime vittime di un sistema delinquenziale che mette in dubbio la serietà di un collettivo produttivo di prima qualità in Italia..
Coldiretti dal canto suo chiede ai magistrati di Pordenone di fare chiarezza in tempi rapidi per tutelare un settore produttivo da un giro d’affari di 800 milioni che rappresenta uno dei simboli del made in Italy nel mondo..

Le verdure da evitare se soffri di infiammazioni


Cos’è l’infiammazione

Fino a pochi anni fa l’infiammazione era un problema come gli altri, un sintomo che veniva soffocato con l’uso di farmaci. Oggi la visione è cambiata e rappresenta uno dei meccanismi principali di una serie interminabile e variegata di malattie.
L’infiammazione è – molto generalmente parlando – la risposta del sistema immunitario del corpo allo stimolo. L’infiammazione si verifica quando il sistema immunitario combatte contro qualcosa che potrebbe rivelarsi dannoso.
L’infiammazione è un meccanismo di difesa nel corpo.
Un’infiammazione non è sempre una risposta utile del corpo. In alcune malattie il sistema immunitario combatte per errore le proprie cellule, causando risposte infiammatorie dannose. Questi includono, ad esempio:
  • Artrite reumatoide, in cui molte articolazioni in tutto il corpo sono permanentemente infiammate
  • Psoriasi, una malattia cronica della pelle
  • Infiammazioni dell’intestino come morbo di Crohn o colite ulcerosa

15 verdure che dovresti evitare se soffri di infiammazioni

Le principali verdure sotto accusa associate all’infiammazione sono quelle della famiglia delle Solanacee . Le verdure di questa famiglia contengono alcaloidi, che sono un tipo di composto. Uno dei principali alcaloidi è la solanina. In grandi quantità, può essere tossico.

Le solanacee da evitare includono:

  • Friggitello
  • Peperoncini
  • Melanzane
  • Peperoni
  • Patate
  • Pomodori
  • Carciofi (non è un vegetale solanaceo, ma contiene alcaloidi simili)
  • Pepe

Verdure utili in caso di infiammazioni

Esistono invece molte verdure che possono andare a sostituire le solanacee, e anche aiutano a contrastare le infiammazioni.

Verdure a foglia verde

Le verdure a foglia verde sono piene di antiossidanti, in particolare i polifenoli. I polifenoli sono composti e hanno proprietà anti-infiammatorie. Lavorano per alleviare lo stato di infiammazione combattendo lo stress ossidativo dovuto ai radicali liberi. Ci sono cinque verdure a foglia verde che sono superiori alla maggior parte delle opzioni alimentari sane per ridurre uno stato di infiammazione e queste includono:
  • spinaci
  • cavolo riccio
  • broccoli
  • cavoletti di Bruxelles
  • cavolfiore

Aglio e cipolla

Entrambe le opzioni vegetali sono ricche di sostanze anti-infiammatorie. Uno dei più attivi è noto come composto di organosolfuro di aglio. Per secoli, questi composti sono stati utilizzati per la prevenzione e il trattamento di numerose condizioni di salute, dal cancro alle malattie cardiache. Alcune ricerche emergenti mostrano che le proprietà antinfiammatorie di questi composti possono fornire una risposta antitumorale.

Bok choy

Questo è un tipo di cavolo cinese ed è ricco di minerali e vitamine che funzionano come antiossidanti. In questo vegetale ci sono acidi idrossicinnamici e circa 70 additivi fenolici, che agiscono tutti come antiossidanti. Questi lavorano duramente per eliminare i radicali liberi e alleviare il danno ossidativo che possono fare al corpo, compresa la riduzione del rischio di radicali liberi che causano uno stato di infiammazione.

Sedano

Il sedano viene spesso menzionato quando si parla di verdure che hanno proprietà anti-infiammatorie positive . Ciò è dovuto principalmente ai suoi antiossidanti e flavonoidi polifenolici. Flavonoidi, come la quercetina e altri antiossidanti come l’acido caffeico, acido fenolico e acido ferulico, possono aiutare a beneficiare varie condizioni infiammatorie come artrite infezioni, fegato e rene, infezioni del tratto urinario, gotta, sindrome dell’intestino disturbi della pelle irritabili e determinati.

Barbabietola

Questo è uno dei vegetali più nutrizionalmente diversi che ci sia, nonché una fonte principale di antiossidanti anti-infiammatori. Uno di questi, noto come betalaina, è responsabile del forte tono delle barbabietole, ma ha anche potenti proprietà antinfiammatorie. Questo ortaggio è anche ricco di magnesio. La ricerca mostra che lo stato di infiammazione e carenza di magnesio sono correlati tra loro.

Curcuma

Sebbene non sia un vegetale, le sue proprietà antinfiammatorie sono ben documentate. Uno degli usi principali di questa spezia è combattere l’infiammazione associata all’artrite. In un piccolo studio del 2012, è stato dimostrato che la curcuma ha la capacità di prevenire il processo infiammatorio nelle articolazioni. È meglio utilizzare la versione fresca di questa spezia per garantire il massimo beneficio.

Parmigiano e prosciutto crudo saranno etichettati dall'Oms nocivi come il fumo?



Ridurre il consumo di sale e grassi e così il rischio di diabete, cancro e infarto: continua l’impegno dell’Onu e dell’Organizzazione mondiale della sanità nella lotta contro quelle sostanze del comparto alimentare che possono portare a malattie non trasmissibili. Ma come la mettiamo con il Made in Italy? Anche il parmigiano o l’olio di oliva potranno essere etichettati come dannosi per la salute?
Se l’Unione punta a chiedere ai Paesi membri di frenare il consumo, anche tramite l’utilizzo di etichette, di cibi ricchi di sale, zuccheri e grassi saturi e migliorarne la regolamentazione, gli esperti del settore non ci stanno a vedere “criminalizzati” anche gli alimenti simbolo della nostra penisola.
Obiettivo di Oms e Onu è far comprendere che ridurre il consumo degli alimenti ricchi di grassi saturi, sale, zuccheri, così come evitare alcool e fumo, consente di prevenire le malattie non trasmissibili, da quelle cardiovascolari a quelle metaboliche. Ed è allo studio in sede Onu una moratoria che induca i Paesi membri a frenare l'uso, in particolare del sale, anche tramite etichette.
Guerra, quindi, al diabete, al cancro e alle patologie cardiovascolari: i morti per queste malattie non trasmissibili dovranno diminuire di un terzo entro il 2030. Ma il punto, secondo gli esperti dell’agroalimentare, è che anche alcuni prodotti italiani potrebbero ricevere il “bollino nero”, come il Parmigiano reggiano, il Prosciutto di Parma, la pizza o il vino.
Nel giugno scorso, nel report “Time To Deliver”, l’Oms presentò una serie di possibili raccomandazioni ai governi per ridurre l’impatto negativo di quei cibi ricchi e migliorarne la regolamentazione. Non venne menzionata nello specifico una maggiore tassazione (come già avviene per alcol e tabacchi). Bisognerà aspettare il 27 settembre quando il tema sarà affrontato all’Onu a New York in occasione della terza riunione volta a valutare i progressi compiuti nella lotta alle malattie non trasmissibili.
È qui che andrà ai voti la proposta su cui le Nazioni Unite stanno ora lavorando e che potrebbe prevedere nuove tasse sui prodotti alimentari contenenti grassi, sale e zuccheri. Allo studio c’è anche l’inserimento di avvisi di pericolo sulle confezioni di molti prodotti alimentari per scoraggiare il loro consumo, simili a quelli usati proprio per le sigarette.
Sembra chiaro, quindi, che quel che si paventa sia il rischio di avvisi di pericolo sulle confezioni di produzioni italiane:
Parmigiano, Prosciutto, pizza e olio nuocciono gravemente alla salute, come una sigaretta. #OMS e #ONU dichiarano guerra al diabete e alle malattie cardiovascolari con attacco strumentale e inaccettabile”, scrive in un tweet il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia.

 Pare, infatti, che nel mirino possano finire anche i prodotti a più alta qualità nostrani, come il Parmigiano reggiano, che, per un grammo di sale di troppo, potrebbe addirittura essere equiparato al fumo.
Ma il comparto agroalimentare italiano non è l’unico a doversi preoccupare: tutti i Paesi della dieta mediterranea potrebbero trovarsi a proteggere i migliori prodotti della propria tradizione alimentare: dai formaggi francesi alle olive greche al jamòn iberico.
Secondo uno studio, se a tutte le bevande e a tutti i cibi zuccherati, con sale o con grassi saturi venisse applicata una tassa del 20%, l’aggravio nel carrello della spesa di una famiglia media ammonterebbe a più di 500 euro all’anno in Italia (a più di 600 dollari negli Stati Uniti e a circa 500 sterline in Gran Bretagna), per cui complessivamente i consumatori italiani avrebbero ogni anno 13,5 miliardi in meno da spendere.
In molti si domandano, allora, dove siano i vantaggi di una simile risoluzione Onu (per la quale, ricordiamolo, non c’è alcun obbligo di recepimento da parte dei governi sovrani). Gli esperti ricordano di guardare, per esempio, a quello che è successo in Europa, da quando Gran Bretagna e Francia hanno introdotto per gli alimenti le etichette nutrizionali a semaforo: questo metodo concede luce verde alla Coca Cola Light, per il suo ridotto contenuto di zuccheri, e semaforo rosso all’85% delle Dop italiane.
Ecco allora il dubbio che arriva dritto all'agroalimentare italiano: e se basta sostituire lo zucchero con l’aspartame, vuol dire i guadagni saranno per i produttori di sostituti chimici per alimenti?

Psoriasi: la dieta mediterranea riduce l'infiammazione. Il nuovo studio




La dieta mediterranea potrebbe aiutare a migliorare la psoriasi e ridurrebbe le probabilità di sviluppare forme più gravi. Non solo, quindi, elisir di lunga vita, lo stile alimentare di stampo mediterraneo è un valido alleato anche per chi soffre di questa fastidiosa malattia della pelle.


A confermarlo è uno studio dell’Hospital Mondor di Creteil, in Francia, e pubblicato da JAMA Dermatology, secondo cui una dieta caratterizzata da un’alta percentuale di frutta, verdura, cereali, pesce, olio extra vergine di oliva, sarebbe in grado di ridurre al minimo l’infiammazione sistemica cronica grazie alle proprietà anti-infiammatorie di questi alimenti.
La psoriasi, si sa, è un fastidioso disturbo della cute che colpisce molte persone e che può generare problemi di tipo relazionale, ansie e a volte anche depressione. Un suo rapporto con il cibo non è mai stato del tutto chiarito, anche se in genere si consiglia una dieta corretta priva di alcool e superalcolici e di alimenti ricchi in acido arachidonico (una sostanza che ha potere infiammatorio all’interno del nostro organismo), tra questi: salumi, carne rossa, burro, uova, panna e altri alimenti di origine animale. Anche togliendo latte e latticini alcuni notano un miglioramento delle condizioni.
Lo studio
Celine Phan, che ha coordinato le ricerche, e i suoi colleghi hanno svolto un grande studio sulla salute in Francia, raccogliendo informazioni sullo stile alimentare di 158.361 volontari per due anni. I ricercatori hanno inviato a tutti i partecipanti allo studio un link a un questionario online sulla psoriasi. Dei 35.735 che hanno compilato il questionario, 3.557 hanno riferito di avere la psoriasi, di 878 in forma grave.
Insieme alle informazioni sul consumo di cibo, lo studio ha anche raccolto dati su stili di vita e fattori di salute, come sesso, età, abitudine al fumo, indice di massa corporea (BMI), livelli di attività fisica, malattie cardiovascolari e sintomi della depressione.
Si sono poi valutate le abitudini alimentari dei volontari che seguivano una dieta mediterranea, già nota per essere associata a un minor rischio di infiammazione sistemica cronica e, dopo aver preso in considerazione altri fattori di stile di vita e di salute che possono aumentare il rischio di psoriasi, i ricercatori hanno scoperto che una particolare gravità della malattia era meno probabile nelle persone le cui abitudini alimentari erano più simili alla dieta mediterranea.
Rispetto a coloro che seguivano poco i principi della dieta mediterranea, infatti, quelli che più la seguivano avevano il 22% in meno di probabilità di soffrire di una psoriasi grave e quelli che seguivano moderatamente una dieta mediterranea avevano il 29% in meno di probabilità di avere psoriasi grave.
Un ulteriore punto a favore alla dieta mediterranea quindi? Pare proprio di sì. Se, effettivamente, la dieta mediterranea nel 2010 è diventata Patrimonio dell'Unesco ci sarà un motivo.