mercoledì 29 ottobre 2014

Sale: ce n’è sempre troppo sulla tavola degli italiani

Ne spargiamo sui nostri piatti molto più di quanto serva. E a rimetterci sono le arterie. Ecco come cambiare abitudini, con i consigli di un celebre nefrologo, il professor Giuseppe Remuzzi

«Sale» non è soltanto quello che afferriamo a manciate per insaporire l’acqua della pasta o l’insalata, e solleticare così le papille gustative. Il sale condisce “silenziosamente” uno sterminato numero di cibi e in quote già sufficienti a soddisfare ogni esigenza corporea. «Ma lo sapete che ogni giorno, in Italia, ciascun adulto ingerisce in media circa 10 grammi di sale da cucina (ovvero 4 grammi di sodio), il che vuol dire, in soldoni, molto, molto più – quasi dieci volte – di quello fisiologicamente necessario?».  Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore del Dipartimento di Medicina e dell’Unità di Nefrologia e dialisi all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, nonché presidente dell’International Society of Nephrology (primo italiano a cui viene affidato questo incarico), rimarca con i numeri la verità palmare. Questa: la stragrande maggioranza (oltre tre quarti) del sale che ingurgitiamo è quello aggiunto agli alimenti nel processo di lavorazione industriale o da noi stessi a tavola e in cucina. La rogna è che più consumiamo alimenti salati, più si tende a sviluppare, per l’adattamento del gusto, una preferenza per il sapido.

UNA FORZA NOCIVA SULLE PARETI DELLE ARTERIE –Il rene è in genere assai efficiente nell’eliminare il sodio introdotto in eccesso. Ma non siamo tutti uguali, ovvero: in virtù del personale patrimonio genetico, ci sono individui che potrebbero tracannare un’intera saliera, senza che la loro pressione arteriosa faccia un plissè. Altri, invece, sempre a causa del proprio mix di geni, si vedono costretti a sorvegliare l’introito alimentare di sodio. Pena: un aumentato rischio di subire una “crisi” cardiovascolare. «Infatti, il sodio possiede una spiccata capacità di attrarre acqua», interviene Remuzzi, «e ciò, nel corpo, incrementa la massa di liquido che scorre nei vasi sanguigni. Questa, in un circolo perverso,  esercita una “forza” sulle pareti delle arterie, che finiscono per diventare più rigide». E il risultato è un nemico che affligge il 20 per cento della popolazione mondiale:l’ipertensione arteriosa. Ipertensione che, se non viene imbrigliata, incrementa lo spessore delle pareti del muscolo cardiaco (col rischio di uno scompenso). E scombussola poi la struttura delle arterie del cuore stesso (i pericoli si chiamano angina e infarto), del cervello (su cui grava l’ombra di un ictus), della retina (leggi: calo della vista) e del rene (che non lavora più correttamente e diventa insufficiente).
PAROLA D’ORDINE: MODERAZIONE! – Un quadro plumbeo. A rischiarare il quale, però, provvede fortunatamente un dato scientifico ben assodato: le popolazioni che vantano un abituale, basso consumo di sodio brillano per la quasi completa assenza di ipertensione. Non solo: nemmeno vengono toccate da un fenomeno tipico delle società industriali, cioè l’aumento della pressione arteriosa con l’età. «C’è di più: se riducessimo a 5 grammi il consumo giornaliero di sale, vedremmo la “massima” ridursi di almeno 2 millimetro di mercurio in chi ha la pressione normale, e di almeno 5 millimetri nelle persone ipertese», spiega Remuzzi. Numeri piccini?  «Mica tanto», sorride Remuzzi. «Negli Stati Uniti hanno calcolato che abbassando stabilmente la pressione di almeno 3 mm di mercurio, gli ictus cerebrali si ridurrebbero dell’11 per cento, gli infarti del 7 per cento, e i decessi del 5 per cento. Vorrebbe dire 120 mila morti in meno ogni anno soltanto negli USA!». Da noi, almeno 30 mila decessi in meno.
COME DARSI UNA REGOLATA – Ce n’è abbastanza per convincersi a salare meno la vita. A questo punto, quali contromosse attuare per non abusarne? «Il fatto è che non basta dirsi: “Da domani smetto di spruzzare sale sui miei piatti!”, se poi continuiamo imperterriti ad abbuffarci di prodotti da forno (pane, biscotti, crackers e grissini, da cui finiamo per assumere importanti quantità di cloruro di sodio) e a condire le nostre portate con dadi da brodo (anche sotto forma di granulato), ketchup e senape», interviene Remuzzi. Occhio, poi, alle cosiddette fonti “nascoste” di sale: i cibi in scatola, i piatti pronti surgelati o in busta (come la pasta e le ministre conservate), la maionese, i sottaceti, le olive da tavola.Importante è imparare a sorvegliare le etichette di tutti i prodotti confezionati: qui, gli ingredienti presenti in quantità superiori sono menzionati per primi; quelli indicati per ultimo sono meno rappresentati in quell’alimento. E, comunque, la quantità di sodio contenuta viene sempre evidenziata (sotto forma di diciture varie: bicarbonato di sodio, fosfato monosodico, glutammato monosodico…).
UNA RIDUZIONE GRADUALE – E come comportarsi con le acque minerali? «In tutte», dice Remuzzi, «la presenza di sodio è obiettivamente così bassa da non incidere sulla salute dei vasi sanguigni». Il trucco universale, comunque, sta nel far sì che la diminuzione giornaliera di sale avvenga gradualmente. Per esempio, nella pausa pranzo, si sappia che un panino con prosciutto crudo e formaggio ci “regala” 4,5 grammi di sale; l’accoppiata “pomodoro & mozzarella”, invece, soltanto 2 grammi. Le nostre papille sono permissive e si rieducano agevolmente a gustare i cibi meno sapidi. Così, nel giro di qualche mese, questi risulteranno saporiti, e quelli conditi alla maniera precedente ci sembreranno eccessivamente forti. Non salare per credere!

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