lunedì 27 marzo 2017

Stop import, torna la stagione delle cozze italiane



Da Cnr e coop produttori monitoraggio biologico e sensoriale

Con la primavera tornano le cozze made in Italy, il mollusco più consumato dagli italiani. La produzione nei mesi invernali, infatti, rallenta per le basse temperature dell'acque e per la scarsa presenza di nutrienti, dando spazio alle importazioni da Spagna e Grecia. Un comparto in cui l'Italia spicca nel quadro europeo con circa 64 mila tonnellate, che copre i due terzi della produzione comunitaria. Leggere, saporite, dal prezzo accessibile e facili da preparare, le cozze sono apprezzate da 3 italiani su 4 secondo un sondaggio Federcoopesca-Confcooperative. Tante le varietà allevate, dalla cozza Dop di Scardovari in Veneto, primo mollusco bivalve italiano ad aver ottenuto nel 2013 il riconoscimento europeo, al Mytilus galloprovincialis che in Friuli Venezia Giulia vanta la certificazione di qualità a garanzia.

Il Consorzio Almar (Cooperativa acquacoltura lagunare Marinetta) di Udine, in collaborazione con l'Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Bologna, hanno messo a punto un monitoraggio biologico e sensoriale lungo la filiera, dalla produzione degli allevamenti alla commercializzazione, per offrire un alimento sicuro, salvaguardare l'ambiente e assicurare ai consumatori il massimo livello di gusto. E' stato formato un panel di assaggiatori in grado di definire, secondo i criteri della disciplina scientifica dell'analisi sensoriale, la validità di 4 parametri del mollusco sia crudo che cotto, che sono freschezza, odore, sapore, grado di salatura e consistenza durante la masticazione. Le carni, infatti, devono essere compatte al palato ma non secche, fibrose, granulose o troppo gommose. Il segreto, come spiega il ricercatore Stefano Predieri di Ibimet, sta nella qualità delle acque di coltura che deve essere garantita ancora prima di iniziare la produzione tramite i controlli microbiologici imposti dalla legge. 


Pomodoro salva-cuore, migliora pressione e riduce colesterolo



I suoi effetti potenziati dall'azione del licopene

Confermati i benefici del pomodoro nella prevenzione delle malattie cardiovascolari: da solo contribuisce a ridurre il colesterolo, mentre il licopene, sostanza antiossidante di cui è ricco, migliora la pressione del sangue. E' la conclusione della revisione di 21 studi, condotta dai ricercatori della Northumbria University e pubblicata sulla rivista Atherosclerosis.

 In particolare lo studio ha verificato i benefici del consumo dei prodotti a base di pomodoro associati agli integratori con licopene (sostanza naturale di origine vegetale) nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Si è così visto che i prodotti a base di pomodoro hanno ridotto i valori del colesterolo e migliorato alcuni valori di rischio cardiovascolare, mentre gli integratori al licopene agiscono sulla pressione. ''E' interessante osservare - commenta in una nota Andrea Poli, presidente di Nutrition Foundation of Italy - come gli effetti protettivi del licopene e dei derivati del pomodoro siano complementari e non sovrapponibili tra di loro. Il pomodoro migliorerebbe il profilo lipidico, ed il licopene (di cui il pomodoro è molto ricco) i valori della pressione sanguigna. Gli alimenti come il pomodoro, e i loro principi attivi purificati, come il licopene, sembrano agire in sinergia nella prevenzione cardiovascolare, ciascuno aggiungendo qualcosa agli effetti protettivi dell'altro''.

In particolare lo studio ha verificato i benefici del consumo dei prodotti a base di pomodoro associati agli integratori con licopene (sostanza naturale di origine vegetale) nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Si è così visto che i prodotti a base di pomodoro hanno ridotto i valori del colesterolo e migliorato alcuni valori di rischio cardiovascolare, mentre gli integratori al licopene agiscono sulla pressione. ''E' interessante osservare - commenta in una nota Andrea Poli, presidente di Nutrition Foundation of Italy - come gli effetti protettivi del licopene e dei derivati del pomodoro siano complementari e non sovrapponibili tra di loro. Il pomodoro migliorerebbe il profilo lipidico, ed il licopene (di cui il pomodoro è molto ricco) i valori della pressione sanguigna. Gli alimenti come il pomodoro, e i loro principi attivi purificati, come il licopene, sembrano agire in sinergia nella prevenzione cardiovascolare, ciascuno aggiungendo qualcosa agli effetti protettivi dell'altro''.

Fonte

Magnesio: consumo quotidiano previene cardiopatie, ictus e diabete




Il minerale potrebbe essere responsabile dei benefici della dieta mediterranea

Il segreto degli effetti benefici della dieta mediterranea? L’elevata presenza di magnesio. Lo sostiene uno studio pubblicato sulla rivista Bmi Medicine dai ricercatori delle università di Zhejiang e Zhengzhou (Cina), secondo cui il minerale - che rappresenta uno degli elementi principali di questo regime alimentare ed è contenuto soprattutto nella verdura a foglia verde, nelle noci e nei legumi - sarebbe in grado di proteggere da cardiopatie, ictus e diabete.
“In passato era stato osservato che bassi livelli di magnesio nell’organismo erano associati allo sviluppo di diverse malattie, ma finora non era stato dimostrato il rapporto il magnesio nella dieta e i rischi per la salute – afferma Fudi Wang, che ha coordinato lo studio -. La nostra meta-analisi fornisce una prova del collegamento tra il magnesio contenuto negli alimenti e la riduzione del rischio di ammalarsi”.
I ricercatori hanno analizzato i risultati di 40 studi precedenti, condotti tra il 1999 e il 2016, che avevano coinvolto oltre un milione di persone residenti in nove diversi Paesi. Al termine dell’indagine, hanno scoperto che le persone che consumavano maggiori quantità di magnesio correvano un rischio più basso del 10% di soffrire di malattie coronariche, del 12% di essere colpiti da ictus e del 26% di sviluppare il diabete tipo 2, rispetto a quelle che ne assumevano di meno. Inoltre, hanno osservato che mangiare anche solo 100 mg di magnesio in più al giorno potrebbe abbassare del 7% le possibilità di essere colpiti da ictus e del 19% quelle di soffrire di diabete di tipo 2.
“Le attuali linee guida per la salute raccomandano agli uomini di consumare circa 300 mg di magnesio al giorno, mentre alle donne di assumerne 270 mg – sottolinea Wang -. Tuttavia, la carenza di questo minerale è relativamente comune: interessa tra il 2,5% e il 15% della popolazione generale. I nostri risultati potrebbero servire ad accrescere la consapevolezza dei responsabili pubblici e politici sulla necessità di promuovere le linee guida nutrizionali per ridurre i rischi per la salute dovuti a carenza di magnesio”. 

Gravidanza: mangiare per due?



Il primo trimestre

Dal punto di vista alimentare il primo trimestre è quello più complesso: sebbene il fabbisogno energetico non sia variato, la mamma può accusare tutta una serie di sintomi legati al cambiamento ormonale che le rendono difficile mangiare correttamente.
Nelle prime 12 settimane la crescita fetale è molto intensa: il fagiolino ha un’altissima replicazione cellulare, infatti da una singola cellula se ne formeranno milioni, fino a raggiungere una lunghezza di circa 20 cm. Tuttavia quest’impennata di crescita non si riflette in un aumentato fabbisogno energetico della mamma che, teoricamente, può continuare a mangiare normalmente e che, sempre teoricamente, non dovrebbe notare grosse variazioni di peso (è infatti auspicabile che nel primo trimestre il peso aumenti al massimo di un paio di chili).
“Teoricamente” è la parola chiave del paragrafo. 
L’aumento del progesterone e la produzione dei primi ormoni della gravidanza causano infatti un ampio spettro di sintomi, che incidono sulle capacità della mamma di mangiare in modo bilanciato. 
Solitamente una donna durante il primo trimestre deve combattere con nauseacattiva digestionevomito e stitichezza.
Nausea e vomito sono i sintomi più frequenti; ben l’85% delle donne in dolce attesa soffre di nausea durante le prime settimane, mentre circa il 32% ha anche vomito. 
La nausea sembra essere un sintomo disagevole, ma confortante: è stata infatti rilevata un’associazione statistica tra presenza di nausea e riduzione del rischio di aborto. Tuttavia in alcuni rari casi (3,5 ogni 1000 gravidanze) il disagio può essere enorme per la futura mamma: nausea e vomito si possono trasformare in iperemesi gravidica, una forma persistente di vomito che si protrae lungo tutti i 9 mesi, causando spesso anche ricoveri ospedalieri per rischio di disidratazione.
Quando invece i sintomi sono nella norma, esistono alcune possibili soluzioni da adottare:
– Fare pasti piccoli ma frequenti.
– Prediligere alimenti secchi o asciutti (gallette, riso, patate, pane tostato, parmigiano…).
– Evitare sapori forti e odori penetranti (state lontane dalle spezie per un po’!).
– Non forzarvi a mangiare ciò verso cui avvertite rifiuto; è molto probabile che non avrete alcuna voglia di verdura, carne (in particolare pollo) e pesce. Inutile cercare a tutti i costi di variare la vostra dieta, se alcuni alimenti non sono proprio tollerati: rischiereste di vomitare, avere bruciore di stomaco e, successivamente, rifiutare anche solo il pensiero dell’alimento che vi siete obbligate a consumare. Portate pazienza e, soprattutto, state tranquille: il rischio di andare incontro a carenze alimentari è alquanto remoto, ma se avete dubbi vi conviene contattare un dietista che vi sappia aiutare fin dalle primissime settimane.

La cattiva digestione è un sintomo tipico del primo trimestre per quanto riguarda le proteine (carne, pesce, uova), ma che si fa più importante nel terzo trimestre, quando l’ingombro addominale del bambino è tale da ridurre la capacità di contenimento dello stomaco. Nel primo trimestre è più frequente incontrare bruciore e pirosi gastrica: ancora una volta il consiglio è quello di fare pasti piccoli ma frequenti, e di preferire alimenti secchi e asciutti; è anche utile evitare alimenti confezionati (come ad esempio il tonno in scatola) e acidi (come pomodori, funghi, agrumi). L’uso di tisane officinali, suggerite da erboristi competenti e informati della dolce attesa, migliora la digestione e lenisce la mucosa gastrica infiammata.
Potrebbe aiutarvi anche il classico “canarino”, ossia acqua calda con limone; evitate invece di usare a scopo digestivo bevande gassate come Coca-Cola o similari: magari sono in grado di darvi sollievo temporaneo, ma non fanno bene al vostro bimbo!
Per quanto riguarda il peso corporeo, come ho accennato poco fa, durante il primo trimestre non dovrebbe aumentare più di un paio di chili; anzi, spesso accade (ed è normale) che a causa di nausea e vomito il peso cali di un chiletto, più o meno. La perdita di peso in questa prima fase non deve preoccupare, a meno che non si faccia consistente (più di due chili): in questo caso va informato ginecologo e dietista di riferimento.
Molte donne incontrano tuttavia il problema opposto: quello di aumentare più di 3-4 kg già nelle prime settimane; tale aumento può essere causato da tre fattori:
– In donne normalmente molto attive, la ridotta attività sportiva; nel primo trimestre si accusa enormemente il debito di ossigeno, l’astenia e l’intorpidimento: anche la più blanda passeggiata può determinare enorme stanchezza. Ecco quindi che il ridotto dispendio calorico può tradursi con un aumento di peso non dipendente da un aumentato introito di cibo.
– Nausea, vomito e pirosi gastrica possono portare a seguire una dieta fin troppo ricca di carboidrati, nel tentativo di limitare i sintomi fastidiosi: le quantità di pane, riso, crackers e fette biscottate diventano eccessive.
– Aumento della ritenzione di liquidi, che pesano sulla bilancia anche quando l’intake calorico è nella norma. 
Quando il peso messo è più del dovuto è bene capire se possa essere ‘normale’ o se ci sia da fare qualche attenzione in più: il rischio, sia per la mamma che per il bimbo, è quello di sviluppare diabete gravidico e ipertensione; affidarsi a personale competente (dietista o nutrizionista) vi farà sentire più sicure sul vostro percorso.
Il secondo e il terzo trimestre
E’ dal quarto mese in avanti che la gravidanza comincia a farsi sentire come aumentato fabbisogno calorico e di micronutrienti:
Durante il secondo trimestre la mamma ha bisogno di un surplus di 350 kcal al giorno. 
Nel terzo trimestre si aggiungono altre cento calorie, arrivano a circa 450 kcal giornaliere in più rispetto al fabbisogno pregravidico.

Questo significa che, se normalmente l’alimentazione di una donna normopeso è di 1700-1900 kcal al giorno, nel secondo trimestre diventerà di 2050-2250 kcal e nel terzo di 2150-2350 kcal: tale aumento permetterà un incremento armonico del peso della mamma e del bambino, che più o meno dovrà assecondare questa tabella:


La crescita del vostro bimbo sarà massima tra la 33ma e la 36ma settimana: il piccolo si incicciottisce di ben 200 grammi a settimana, per poi rallentare fino alla nascita.
L’aumento del fabbisogno calorico materno deve essere distribuito equamente tra carboidrati, proteine e grassi, ma ad essere particolarmente importanti sono i carboidrati (le proteine saranno fondamentali durante l’allattamento, dove il fabbisogno è aumentato di ben 17 grammi rispetto alla norma). 
Al di fuori della gravidanza una donna dovrebbe assumere quotidianamente 130 g di carboidrati al giorno, di cui circa 40-50 g di zuccheri (provenienti prevalentemente dalla frutta, pari a circa 400 g di frutta al giorno); fanno eccezione diete particolari (chetogenica, ciclica per sport, VLC, digiuno intermittente…). Durante la gravidanza, invece, si raccomanda di raggiungere almeno 175 g di carboidrati al giorno: tale quota è quella minima anche in caso di diabete gravidico (una condizione patologica che tratterò in un articolo a parte). Particolare attenzione va posta per una donna attiva, che continua a fare sport anche durante la dolce attesa (ovviamente con tutte le attenzioni dovute allo stato interessante!): in questo caso è raccomandabile raggiungere almeno 200-220 g di carboidrati al giorno, e 250-270 g nei giorni di sport.
Il raggiungimento del fabbisogno di glucidi farà la differenza sul vostro stato energetico: se risicate troppo le porzioni rischiate di sentirvi costantemente stanche, asteniche, senza energie. Inoltre, la scarsità di carboidrati potrebbe causare un disequilibrio glicemico ed insulinemico nel feto, creando un ambiente cosiddetto “obesogenico”: il vostro bimbo ha grande bisogno di carboidrati, e se gliene date troppo pochi il suo organismo si abituerà fin da quando è nella vostra pancia ad assorbirne come una spugna. Al di fuori dell’ambiente fetale, questo comporta una maggior facilità ad accumulare tessuto adiposo, con tutte le conseguenze ben note.
Ovviamente la qualità dei carboidrati deve essere scelta con attenzione: non dovete mangiare più biscotti e dolci, ma più carboidrati complessi! 
Questo è un esempio di dieta con 220-230 g di carboidrati:


COLAZIONE

Oatmeal, fatto con 60 g di fiocchi d’avena (leggermente ammorbiditi in poca acqua)
+ 3 noci
+ uno yogurt intero bianco
+ cacao e cannella.
SPUNTINO3 gallette di quinoa (o 50 g di pane di segale tostato) con 20 g di Parmigiano Reggiano
PRANZO
80 g di risotto semintegrale con zafferano e pinoli tostati
100 g di scaloppine di manzo
Verdura
Olio extravergine per cucinare e condire
SPUNTINO
50 g di pane di segale tostato con crema di mandorle e confettura biologica
CENA300 g di patate al vapore
100 g di sgombro ai ferri
Verdura
Olio extravergine per cucinare e condire
SPUNTINO

30 g di fette biscottate di farro
Durante la gravidanza non è possibile applicare alcune strategie di consumo di carboidrati che normalmente sono invece consigliate sia per dimagrire (che, ricordo, non è un obiettivo perseguibile in questo momento delicato della vostra vita!) sia per mantenere un buono stato di salute:
– Non applicate il digiuno intermittente
– Non lasciate passare molte ore tra un pasto e l’altro, cercate di frazionare i carboidrati durante tutto l’arco della giornata
– Non seguite regimi “paleo”, se non con congrua presenza di fonti paleo di carboidrati (ma il mio consiglio è quello di non rinunciare almeno al riso)
– Non applicate tecniche di carbs-load (ovvero concentrare la maggior parte del vostro fabbisogno di carboidrati dopo sessioni di sport o in determinati giorni della settimana)
Le integrazioni

Per quanto riguarda i micronutrienti, questi sono i fabbisogni raccomandati per il secondo e terzo trimestre:


Con un’adeguata distribuzione del surplus calorico è abbastanza semplice raggiungere i valori consigliati, tuttavia potrebbe essere indicato assumere un integratore completo per la gravidanza. Questo è vero soprattutto se fate fatica a consumare pesce (per le necessità di DHA, un omega3 fondamentale per la formazione del sistema nervoso cerebrale del piccolo), se soffrite di pressione bassa (per il ferro), se porterete avanti la gravidanza in inverno (per la vitamina D). 
Inoltre, in epoca preconcezionale e durante il primo trimestre è importante integrare i folati: si tratta di micronutrienti in grado di prevenire patologie del tubo neurale nel piccolo; dal momento che il tubo si chiude entro il primo trimestre, è consigliabile portarsi avanti con l’integrazione ancora prima del test positivo, in via precauzionale.
La tematica dell’integrazione alimentare è sempre delicata, e lo è ancora di più in gravidanza: bisogna fare attenzione a scegliere ottimi integratori, contenenti forme biodisponibili di micronutrienti e che non causino effetto accumulo. Inoltre, è importante controllare che l’integratore non contenga coloranti o additivi, poiché non mi è certezza che non causino problemi nel bimbo; anzi, il biossido di titanio (E171) sembrerebbe essere coinvolto nella dermatite atopica neonatale, e purtroppo questo colorante è contenuto in molto integratori consigliati per gravidanza e allattamento.
Esistono alimenti proibiti in gravidanza?
In linea di massima no: potete consumare tutto quello che volete.
Ad essere assolutamente vietati sono, ovviamente, gli alcolici. 
Bisogna prestare attenzione anche alla caffeina, contenuta in caffè e tè nero (…e in molte bevande gassate!), poiché è una sostanza attiva in grado di passare la barriera placentare; alcuni studi mettono in relazione l’eccessivo consumo di caffeina nel primo trimestre con un aumentato rischio di aborto, mentre nel secondo e terzo trimestre sembre essere in relazione a una risposta stressogena eccessiva del feto.
Se avete fatto il test di toxoplasmosi ed è negativo dovrete evitare tutte le proteine crude, poiché sono veicolo di infezione: contrarre la toxoplasmosi in gravidanza è estremamente pericoloso per il feto; a seconda del trimestre in cui vi trovate può causare aborto, malformazioni o cecità. 
Per proteine crude si intende: carpacci di carne e pesce, tartar di carne e pesce, uova crude o semicrude (zabaione, uova alla coque, maionese…), formaggi a latte crudo, latte crudo (che è sempre da portare a 70-80°), prosciutto crudo e affettati tipo speck o bresaola o salmone affumicato (se utilizzati, sono sempre da scaldare in padella: solo in questo modo possono essere consumati). Tali alimenti vanno eliminati sia per il rischio di toxoplasmosi sia per il rischio di altre tossinfezioni alimentari (come la listeriosi). Inoltre, bisogna prestare attenzione anche ai germogli (da non consumare) e a frutta e verdura cruda: la frutta può essere consumata previa sbucciatura e, per i frutti che non si sbucciano (come le fragole), ammollo in acqua e bicarbonato. Anche la verdura cruda va messa in ammollo in acqua e bicarbonato: questo consiglio è valido anche per gli ortaggi “ready to eat” (come le insalate in busta); meglio evitare di consumare verdura non cotta fuori casa.


lunedì 20 marzo 2017

La dieta più sana ed equilibrata? La dieta mediterranea




La Dieta Mediterranea previene le malattie: significative ricerche degli ultimi anni, hanno evidenziato un rapporto causale tra la Dieta Mediterranea e la riduzione dell’incidenza di malattie cardiovascolari, tumori ed altre patologie gravi.

La dieta più sana ed equilibrata è quella mediterranea che privilegia i carboidrati complessi (pasta e pane), mentre limita l’assunzione di zuccheri semplici (glucosio, lattosio e saccarosio – ovvero zucchero, miele e dolci).
Se la presenza di frutta, verdura e legumi apporta un’elevata quantità di fibre che garantisce sazietà, il basso carico glicemico dei cibi permette un miglior controllo del metabolismo.
Per quanto riguarda i grassi, la maggior parte deriva da fonti vegetali, che non sono dannosi per il nostro corpo: non a caso il simbolo della dieta mediterranea è l’olio d’oliva.

Cosa si intende per Dieta Mediterranea ?

La Dieta Mediterranea è l’insieme delle abitudini alimentari dei popoli del bacino del Mediterraneo, che si sono consolidate nei secoli e sono rimaste pressoché immutate fino al boom economico degli anni 50: non solo alimentazione, ma un vero e proprio stile di vita.
Questo insieme di abitudini consiste principalmente nel consumo abbondante, rispetto agli altri alimenti, di:
  • pane e pasta;
  • verdure e insalate;
  • legumi;
  • frutta;
  • frutta secca.
Le caratteristiche di questa dieta prevedono un consumo moderato di pesce, carne bianca, latticini e uova. Il consumo di carne rossa e vino è limitato rispetto alle diete di altre zone del mondo.

L’olio d’oliva

Per garantire l’apporto di grassi, tra i popoli del Mediterraneo è diffuso il consumo di olio d’oliva, che contiene grassi di qualità superiore, meno nocivi di quelli animali, anzi salutari per l’organismo.

Caratteristiche fondamentali di una dieta mediterranea

  • basso contenuti di acidi grassi saturi;
  • ricchezza di carboidrati e fibra;
  • alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi (derivati principalmente dall’olio d’oliva).
La caratteristiche della dieta mediterranea ne fanno il regime alimentare ideale su cui medici e nutrizionisti redigono una dieta dimagrante personalizzata ed equilibrata, coniugando un dimagrimento efficace con il calo ponderale ottimale suggerito dalle linee guida SIO* per non compromettere i delicati equilibri metabolici del nostro organismo.

Che benefici posso avere?

  • Manteni ottimali i nostri livelli di glucosio e di lipidi nel sangue;
  • Contieni l’appetito e favorisci il senso di sazietà;
  • Riduci la tendenza al sovrappeso;
  • Scegli i cibi con un apporto calorico tarato sulla predisposizione al consumo energetico del tuo organismo.

Anacardi



Gli anacardi, o noci di anacardio, sono conosciuti in tutto il Mondo con diversi sostantivi: noci di acajou o acagiù, casher nuts, noix d'acajou, noix d'Arabie, anacarde occidental, Tintennusse, Mahagoininnusse, Mahagoni Kernel, Kernel westindische, elefanten lause.

Gli anacardi - che appartengono alla categoria così detta della frutta secca - dal punto di vista botanico sono i frutti (o meglio gli acheni) dell'Anacardium occidentale Linn., una pianta appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae (Terebintaceae); gli anacardi sono originari dell'America (Brasile) ma ad oggi le relative coltivazioni coprono quasi l'intero pianeta.
NB. Esiste anche una varietà di anacardi orientale chiamata Senecarpus anacardium Linn. f.; questa specie, originaria dell'India, produce frutti analoghi alle varietà dell'Anacardium occidentale Linn. che hanno le stesse caratteristiche nutrizionali.
Gli anacardi si presentano come piccole noci simili a fagioli (reniformi), lunghe circa 2-4cm. Il seme, chiuso all'interno del guscio, è di colore bianco e si caratterizza per un gusto dolce e oleaginoso; generalmente, in Europa, gli anacardi sono consumati tostati, da soli o come ingrediente di pasticceria e cioccolateria; gli anacardi sono conosciuti anche con l'appellativo di "mandorline indiane" o "anacarde".

 In merito alla sicurezza alimentare degli anacardi, è essenziale precisare fin da subito che, consumando i semi privati del guscio, non è raro che alcuni frammenti permangano adesi alla frazione commestibile; questi residui, che contengono cardolo (liquido oleoso giallognolo che imbrunisce all'aria, molto tossico, con azione  
rubefacente e vescicatoria), sono da considerare nocivi per la salute umana.

Gli anacardi vengono considerati un alimento "pregiato", in virtù del rispettivo contenuto lipidico insaturo (estraibile sotto forma di olio di anacardi) che rappresenta circa il 49% del peso complessivo; l'olio di anacardi è, dal punto di vista gustativo e organolettico, molto simile a quello di mandorle e si presta bene al consumo alimentare. L'olio di anacardi (coma la materia prima grezza) è l'unico alimento, assieme all'olio di palma, a contenere la forma delta di vitamina E (δ-tocoferolo). Gli anacardi contengono anche il 35% di proteine (a medio valore biologico) e il 16% di glucidi totali.
Ricordiamo ancora una volta che, dal GUSCIO degli anacardi (e NON DAL SEME!), si ottiene un olio nocivo e addirittura caustico (olio d'anacardio - olio d'acajou) contenente: acido anacardico (90%) e cardolo (10%). Dalle radici degli alberi di anacardi si ricava un essudato gommoso paragonabile alla gomma arabica.

Ciò che non tutti sanno è che i semi (acheni) dell'Anacardium occidentale Linn. e del Senecarpus anacardium Linn. f. NON sono l'unica porzione della pianta utilizzata a scopo alimentare.
Il peduncolo dell'achenio stesso (pomme d'acajou) è commestibile e si presenta ipertrofico, carnoso, dalla forma di pera e dal colore di mela rossa; è frequentemente impiegato per la produzione di conserve e, se fermentato, produce un distillato caratteristico.

Frequenza di Consumo

Gli anacardi sono alimenti estremamente calorici, dei quali (come già menzionato) il 49% del peso è costituito da lipidi; questi ultimi apportano circa il 70% dell'energia complessiva dell'achenio (mentre solo il 10% delle calorie deriva da proteine e il 20% da carboidrati). La prevalenza degli acidi grassi è di tipo monoinsaturo (come quelli dell'olio vergine d'oliva) e, ovviamente, gli anacardi non contengono colesterolo.
Si osservano ottime quantità di ferro (Fe), potassio (K) e fosforo (P), mentre l'apporto di vitamine non ne giustificherebbe il consumo frequente.
NB. Gli anacardi, oltre ad avere una frequenza di consumo limitata a 2-3 volte la settimana (rientrando nella categoria della frutta secca), dovrebbero essere contestualizzati in una dieta povera di grassi (dei quali sono ricchi) e le relative porzioni non dovrebbero superare i 15-20g di parte edibile (90-120kcal).


Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/anacardi.html



Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/anacardi.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/anacardi.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/anacardi.html


Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/anacardi.htmlrubefacente e vescicatoria), sono da considerare nocivi per la salute umana.


Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/alimentazione/anacardi.html

sabato 18 marzo 2017

I cibi che migliorano la memoria




Alcuni cibi contengono nutrienti molto utili per la salute del nostro cervello: possono proteggerlo e migliorarne le capacità. Di seguito ti elenchiamo 4 cibi che possono migliorare memoria e concentrazione, prevenendo l’Alzheimer.

Cioccolato fondente. E’ ricchissimo di flavonoli, che possono lottare contro i radicali liberi e bloccare l’invecchiamento del cervello e il declino della memoria, molto comuni dopo i 60 anni. Si suggerisce di aumentarne il consumo.

Frutti di bosco. Lamponi, mirtilli, more e fragole sono ricchi di antiossidanti, che possono proteggere il cervello e migliorare le capacità cognitive. Sono ottimi per prevenire l’Alzheimer.

Barbabietola. E’ ricca di vitamine del gruppo B, fondamentali per la salute e il funzionamento del cervello. La barbabietola contiene anche un antidepressivo naturale chiamato uridina.
Frutta secca. Mangiarne un pugno al giorno può aiutare a proteggere e migliorare la memoria, anche in età avanzata. Sono ricchi di grassi sani, fibra e antiossidanti che possono anche abbassare il colesterolo.

Toxoplasmosi in gravidanza: 7 cose da sapere


1) Che cos'è la toxoplasmosi?
La toxoplasmosi è un'infezione causata da un microrganismo chiamato Toxoplasma gondii. Nella grande maggioranza dei casi non ci si accorge nemmeno di averla avuta, perché dà sintomi lievi e generici, come stanchezza, mal di testa o di gola, sensazione di "ossa rotte". Una volta contratta, lascia un'immunità permanente, cioè non si rischia più di ammalarsi. Il problema, però, è che se presa in gravidanza può essere molto pericolosa per il bambino, visto che può passare al feto attraverso la placenta.

2) Quali rischi per il bebé?
 Se la mamma contrae l'infezione durante i mesi di gravidanza, non è detto che anche il feto si infetti. Se però questo avviene, i danni possono essere tanto maggiori quanto più precocemente avviene il contagio.

“Per fortuna all’inizio della gravidanza è difficile che il toxoplasma arrivi al feto, ma se questo succede, i rischi possono essere anche seri: per esempio aborto spontaneo, malformazioni, danni al sistema nervoso centrale che possono portare a ritardo mentale o a epilessia oppure lesioni agli occhi che possono provocare cecità” spiega Irene Cetin, responsabile dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia presso l’Ospedale Luigi Sacco di Milano e Professore dell'Università di Milano. “Viceversa, verso la fine della gravidanza il passaggio attraverso la placenta è più facile, ma a quel punto i rischi possibili sono minori”.

3) Il toxo-test per sapere se si è immuni oppure no
Per sapere se si è immuni oppure sensibili all'infezione basta un semplice esame del sangue che permette di rilevare la presenza di anticorpi contro il toxoplasma. Il test può essere eseguito anche prima del concepimento, oppure nell'ambito della prima batteria di esami che viene consigliata alla mamma alla prima visita della gravidanzaSe la donna risulta immune, può stare tranquilla per tutti i nove mesi e non è necessario ripetere il test.

Altrimenti può risultare suscettibile di infezione, se non l'ha mai contratta (in questo caso il test dovrà essere ripetuto ogni mese), o a rischio di trasmetterla al feto, se l'ha contratta proprio durante la gravidanza. L'esame è a carico del SSN per tutti i mesi di attesa.

Come leggere i risultati del test
Il toxo-test ricerca nel sangue la presenza di anticorpi specifici (detti immunoglobuline) contro il  parassita. In particolare, si cercano due tipi di immunoglobuline: le IgM, che si formano quando c’è un’infezione in corso e quindi segnalano che la malattia è in atto e le IgG, le immunoglobuline della ‘memoria’ che rimangono in circolo a segnalare che l'organismo ha incontrato il parassita in passato. Sono possibili diversi casi.
- IgM e IgG entrambe negative (cioè inferiori ai valori di riferimento indicati dal laboratorio): vuol dire che la donna non ha mai contratto l’infezione. Questo significa che dovrebbe prestare attenzione a certe norme igieniche di prevenzione.
IgM negative e IgG positive: vuol dire che la donna ha già contratto la toxoplasmosi in passato ma non ha un’infezione in corso. Ormai è immune e non ci sono rischi per il feto.
IgM positive e IgG negative: sta ad indicare che la donna non aveva mai contratto l’infezione in passato, ma che nel momento dell'esame l’infezione è in corso.
IgM e IgG entrambe positive: vuol dire che l’infezione c’è stata e potrebbe essere ancora in atto, così come potrebbe significare che è avvenuta fino a 3-4 mesi prima, visto che le IgM impiegano 3-4 mesi prima di diventare negative. Per sapere con maggior esattezza quando può essere avvenuta l'infezione può essere fatto un test particolare, chiamato test di avidità.
4) Che cosa fare se si scopre di aver contratto la toxo in gravidanza
Come comportarsi se l’esame era negativo subito prima del concepimento e poi risulta positivo durante i controlli dei nove mesi? “La prima cosa da fare, per sicurezza, è ripetere il test presso un centro di riferimento specializzato, come un ospedale di secondo livello, più attrezzato su queste analisi" suggerisce Irene Cetin.

Nel caso in cui sia confermata l’infezione, si può eseguire il cosiddetto test di avidità, cioè un esame del sangue che consente di sapere se l’infezione è avvenuta nei tre mesi precedenti o ancor prima, e quindi capire se è stata contratta quando la gravidanza era già in atto. Se è questo il caso, per sapere con certezza se effettivamente il toxoplasma ha oltrepassato la barriera placentare e infettato il bambino occorre eseguire un’amniocentesi, che permette di evidenziare l'eventuale presenza del microrganismo nel liquido amniotico.

5) Trattamenti possibili
“Se la mamma contrae la toxoplasmosi in gravidanza, viene sottoposta subito ad una terapia antibiotica che riduce il rischio di trasmissione al feto dell'infezione e che, nel caso la trasmissione sia già avvenuta, riduce il rischio di gravi conseguenze” spiega la professoressa Cetin. Con le attuali possibilità di trattamento, almeno il 90% dei bambini che contraggono l'infezione in utero nasce senza sintomi evidenti.

6) Come evitare la toxo
 L'infezione può essere contratta solo se si ingerisce il parassita, che può essere presente nelle carni di animali infetti, nelle feci di gatto, nel terreno in cui abbia defecato un gatto infetto e su frutta e verdura (eventualmente contaminate da feci o terreni a loro volta infetti). Ecco allora le precauzioni da adottare per evitare il contagio:

  • Se si vuole mangiare verdura cruda, è importante lavarla abbondantemente e con cura, per asportare residui di terriccio. Utile aggiungere nell’acqua di lavaggio un po’ di bicarbonato o di soluzioni disinfettanti apposite, che aiutano a rimuovere lo sporco. Meglio fare un risciacquo ‘domestico’ anche se si acquista al super l’insalata già lavata e confezionata.
  • Nessun divieto per la verdura cotta, dal momento che la cottura è in grado di distruggere il germe.
  • Per quanto riguarda la frutta, quella che cresce sugli alberi non dà problemai, mentre per i frutti a contatto con la terra, come le fragole, valgono le stesse precauzioni previste per la verdura cruda.
  • La carne deve essere consumata sempre cotta. Sì a cotolette e roast beef, ma solo se la carne è ben cotta anche all’interno. Vietate le bistecche al sangue o il carpaccio. Vietato anche assaggiare carne cruda o semicruda mentre la si prepara per il pasto.
  • Come salumi, sono consentiti quelli cotti, come la mortadella e il prosciutto cotto. “No invece a prosciutto crudo, salame, bresaola, wurstel e speck, a meno che non li consumiamo cotti nelle pietanze” evidenzia Iren Cetin. “È vero che i prodotti industriali sono più sicuri di quelli artigianali, ma nel dubbio meglio non rischiare”.
  • Dopo aver maneggiato carne o verdure crude, è sempre buona regola lavare bene le mani con acqua e sapone.
  • Nessuno rischio toxoplasmosi se si consuma pesce crudo, come il sushi. Però in gravidanza è consigliabile evitarlo perché può contenere altri germi, come la salmonella.
  • Il giardinaggio non è vietato, ma occorre mettersi i guanti e lavare bene le mani al termine dei lavori, per evitare il contatto con un terreno che potrebbe essere stato contaminato da  feci di animali infetti.
7) Gatti sì o no?
Sono i primi contro i quali si punta il dito, ma in realtà è davvero difficile che un gatto domestico (sempre vissuto in casa e non precedentemente randagio) possa contrarre la toxoplasmosi e trasmetterla all’uomo. A meno che, naturalmente, non vada in giardino ed entri in contatto con terreno contaminato.
Il problema, comunque, è limitato alle feci e dunque alla lettiera: per una precauzione in più, è consigliabile farla pulire ad altri membri della famiglia oppure indossare i guanti e lavare le mani con sapone ed acqua corrente al termine delle operazioni di pulizia. “Va specificato tuttavia che le cisti del parassita si schiudono circa 2-3 giorni dopo la deposizione delle feci, a una temperatura ambientale di 24°C e ad alta umidità" afferma Cetin. "Dunque,  il rischio di contaminazione viene notevolmente ridotto se la lettiera viene pulita ogni giorno”.