Quantità elevate di acido folico, di norma consigliate e prescritte, potrebbero invece mettere le donne a rischio di cancro al seno. Lo Studio
L’acido folico, una vitamina del gruppo B, è molto importante per una grande moltitudine di reazioni chimiche che avvengono nel nostro organismo. Di norma dovrebbe essere assunto attraverso una dieta varia. In particolare, si trova in grandi quantità nella lattuga, ma anche nelle uova, nel fegato, negli spinaci, nel muesli eccetera.
Sebbene una dieta corretta possa fornire la giusta quantità di acido folico, in alcuni casi si può tuttavia rendere necessaria un’integrazione specifica. Tra questi ricordiamo l’anemia, la celiachia e la gravidanza.
Per contro, però, assumere acido folico di sintesi in grandi quantità può essere deleterio. Si pensi solo che la dose giornaliera raccomandata varia dai 50 ai 200 mcg, mentre in gravidanza se ne assume circa il doppio del massimo consigliato (0,4mg – 400 mcg). Ma nelle gravidanze a rischio si possono utilizzare anche dosi molto più elevate: 4-5 milligrammi al giorno – circa 10 volte tanto.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista PLoS One e condotto da un team di ricercatori dell’Università di Toronto, tra cui il dottor Young-In Kim, medico e ricercatore presso il St. Michael’s Hospital di Toronto e il Departments of Medicine & Nutritional Sciences dell’University of Toronto, sono sufficienti dosi superiori di circa 2,5 volte il fabbisogno giornaliero per “promuovere in modo significativo” la crescita di cellule pre-cancerose esistenti nelle ghiandole mammarie. La ricerca, attualmente condotta su modello animale, denuncia un grave problema per molte donne. Ma non solo: alcuni pazienti del Nord America, in seguito a una diagnosi di cancro sono risultati essere stati esposti a livelli molto alti di acido folico e altri integratori vitaminici.
«Questa è una faccenda estremamente importante perché i pazienti con cancro al seno e i sopravvissuti in Nord America sono esposti a elevati livelli di acido folico attraverso la fortificazione di acido folico negli alimenti e l’uso diffuso di integratori vitaminici, dopo una diagnosi di cancro – spiega Kim – I malati di cancro e i superstiti in Nord America hanno un’alta prevalenza di consumo di integratori multivitaminici».
Questo è un problema, considerando il fatto che il consumo di acido folico nel Nord America è in drammatico aumento negli ultimi quindici anni. Alle donne, infatti, è stato consigliato vivamente di assumerne in grandi quantità perprevenire difetti congeniti del tubo neurale come la spina bifida. La stessa cosa accade più o meno oggi in Italia.
I Governi statunitensi e canadesi, inoltre, hanno esplicitamente richiesto ai produttori di alimenti di aggiungere dell’acido folico alla farina bianca e di mais e alla pasta, al fine di garantire una buona assunzione di vitamina B. Senza considerare che il circa il 40 per cento della popolazione assume anche integratori delle vitamine del gruppo B, perché sono consigliati per il mantenimento di un buono stato di salute.
«La supplementazione di acido folico può fare due cose: può proteggere da alcuni tipi di cancro, ma può anche promuovere altri tipi di cancro – sottolinea Kim – Ha un duplice effetto, a seconda di quanta se ne assume».
Quello del dottor Kim e colleghi, tuttavia, non è il primo studio in cui si evidenzia il problema. Un paio di anni fa, infatti, uno studio norvegese pubblicato sul Journal of American Medical Association (JAMA) ha mostrato come alcuni pazienti con una diagnosi di malattia cardiaca e trattati con acido folico e vitamina B12 avevanomolte più probabilità di morire di cancro rispetto ai pazienti che non avevano ricevuto le stesse vitamine come trattamento.
Secondo il dottor Kim bisogna dunque considerare che l’acido folico viene assunto anche attraverso l’alimentazione. Per cui se tra integratori e alimentazione si superano gli 0,4 mg al giorno, questo può destare preoccupazione.
Alcuni farmaci consigliati dai medici in stato di gravidanza contengono 1 milligrammo di acido folico. La dose è circa 2 volte e mezzo superiore a quella raccomandata, ovvero la stessa quantità utilizzata nello studio animale che ha evidenziato il rischio di cancro al seno.
Senz’altro saranno necessari ulteriori studi, ma nel frattempo è bene discuterne con il proprio medico curante nel caso si avesse familiarità di cancro al seno.
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