giovedì 30 ottobre 2014

5 alimenti che migliorano la memoria

La nostra memoria dà senso alla vita. Grazie ad essa possiamo portare a termine molte attività e lavori che altrimenti sarebbero difficili. Grazie ad essa conserviamo il ricordo della nostra vita in cui sono raccolte esperienze di ogni tipo. Esistono degli alimenti che aiutano a mantenere la nostra memoria in buono stato.

1. Mirtilli

mirtilli sono un frutto che va di moda. Da qualche anno questo alimento è diventato molto popolare grazie alle sue proprietà e ai suoi benefici. In questo caso i mirtilli favoriscono la memoria per via degli antociani, pigmenti che conferiscono il colore caratteristico e che riducono la degenerazione cerebrale. In tal modo i mirtilli favoriscono i processi cognitivi che intervengono sul funzionamento della memoria. I mirtilli, inoltre, sono anche di grande aiuto per prevenire malattie come l’Alzheimer o la demenza senile.

2. Mele


Le mele sono un altro alimento che contiene proprietà utili per conservare la memoria in buono stato. Ciò è dovuto all’alto contenuto di quercetina, un antiossidante che ritarda e previene i processi degenerativi che danneggiano la memoria, sia che siano processi patologici o che derivino dal normale invecchiamento. Tale composto si trova principalmente nella buccia delle mele, sebbene sia presente anche nella polpa. Per questo motivo la mela incentiva il formarsi e il mantenimento di migliori sinapsi cerebrali da parte delle cellule, fatto che favorisce una migliore memoria.

3. Spinaci

Senza alcun dubbio gli spinaci sono uno dei prodotti più popolari che aiutano la memoria. Si sa che gli spinaci fanno bene soprattutto alla memoria e al cervello in generale. Gli spinaci contengono luteina, una sostanza chimica che protegge le cellule del cervello di fronte a processi degenerativi; in più, possiedono una buona quantità di acido folico, ottimo per elaborare le informazioni più rapidamente e per migliorare il rendimento mentale. Come se non fosse abbastanza, anche la loro quantità di ferro è importante.

4. Sedano

Il sedano è un altro degli alimenti o prodotti naturali che potete sfruttare per i suoi effetti benefici sulla memoria. Il sedano contiene quantità significative di una sostanza chimica chiamata luteolina che riduce gli effetti negativi del processo di invecchiamento e che diminuisce la produzione e il rilascio di molecole che provocano l’infiammazione del cervello e, dunque, la perdita della memoria. Il sedano, infatti, può aiutare anche a evitare il mal di testa e le emicranie.

5. Pesce

Certi tipi di pesce aiutano a mantenere la memoria. Tra questi possiamo citare il tonno, il salmone, la trota e le sardine. Come ben saprete, questi pesci (soprattutto il salmone) contengono grandi quantità di acidi grassi omega 3 che sono ottimi per l’organismo in generale. In particolare questo tipo di acido grasso ha un effetto positivo sul sistema nervoso. Di solito, inoltre, questi pesci contengono iodio, un elemento fondamentale per il buon funzionamento della memoria e per i processi cognitivi.

Allarme merenda: è il pasto più rischioso per i bambini

Allarme merenda, per 6 esperti su 10 è il pasto più a rischio per i bambini. Secondo gli esperti la merenda rappresenta per i bambini il pasto più “rischioso” della giornata (59%), seguito da colazione (28%) e cena (21%). Troppo spesso viene considerata come il momento nel quale è possibile fare degli strappi alla regola perdendo di vista le quantità e qualità dell'alimentazione del bambino...


Chi da bambino non amava stare per l’ora della merenda seduto sul divano a guardare la tv, mentre si sporcava le mani con le leccornie che non poteva mangiare durante la giornata? Ricordi belli ma spesso non troppo salutari, come sottolineano i Masterchef che suggeriscono di considerare la merenda una pausa importante (55%) o, comunque, al pari degli altri pasti della giornata (37%). Ecco allora che 1 chef su 2 suggerisce di preparare dei piatti misti che contengano sia il salato che il dolce, utilizzando alimenti come verdure e insalata (61%), seguiti da tramezzini con conserve vegetali (59%) per il salato, o yogurt (59%) e frullato di frutta (42%) per il dolce.
L’obiettivo? Proporre al bambino dei cibi facili da mangiare mentre si va in giro per casa (23%) o si guarda la tv seduti sul divano (34%), creando dei piatti coreografici per divertire il bambino (34%). E’ quanto emerge da uno studio promosso da “Polli Cooking Lab”, l’Osservatorio sulle tendenze alimentari dell’omonima azienda toscana, condotto intervistando i nutrizionisti e oltre 125 illustri chef nazionali per raccogliere i giusti consigli su come organizzare in casa una merenda per bambini sana, gustosa e nello stesso tempo creativa. “La merenda è un momento sottovalutato, quando andrebbe invece considerato al pari degli altri pasti della giornata. Una buona merenda pomeridiana, unita allo spuntino di metà mattinata, permettono infatti di frazionare la soluzione di cibo in 5 pasti giornalieri, così da dare al bambino, soprattutto nella fase di crescita, un rifornimento energetico e dei vari nutrienti distribuito in maniera modulata per tutta la giornata, evitando un sovraccarico a pranzo e a cena.” – commenta il Prof. e Nutrizionista Andrea Strata – “Naturalmente, da evitare cibi di difficili digestione e tenere sott’occhio quella che si chiama la conservabilità della merenda, prediligendo magari dei prodotti inscatolati, specie per lo spuntino di metà mattina, da trasportare sempre con cura per mantenere delle perfette condizioni igieniche.
Quindi massima attenzione alla merenda, che si inserisca nel contesto della razione di cibo giornaliera in maniera equilibrata e che contenga tutti e tre i componenti nutrienti - proteine, grassi e, soprattutto carboidrati - rispetto a una merenda che prediliga in maniera sproporzionata un’unica componente.” Da momento dedicato alle leccornie, la merenda deve diventare il momento in cui mangiare cibi sani e genuini mentre si gioca. Per questo è importante farla sia la mattina che il pomeriggio Secondo i Masterchef la merenda rappresenta per i bambini il pasto più “rischioso” della giornata (59%), seguito da colazione (28%) e cena (21%). La merenda viene, infatti, troppo spesso considerata come il momento nel quale è possibile fare degli strappi alla regola nell’alimentazione del bambino (73%), lasciandolo libero di mangiare ciò che vuole (55%) e perdendo di vista le quantità (41%). “Noto che nell’80% dei casi siamo abituati ad affidarci a merendine preconfezionate. Ovviamente capisco che è difficile per le tante mamme, sempre di corsa e tutto il giorno impegnate in ufficio, trovare il tempo di preparare una merenda ben fatta. Credo, però, che sia anche una questione di organizzazione e che volendo, in sole poche mosse, si possa realizzare qualcosa di sano e gustoso” – commenta la Masterchef Isa Mazzocchi del ristorante La Palta di Bilegno (PC). I Masterchef considerano la merenda il momento più importante (55%) o, comunque, al pari degli altri pasti della giornata (37%) e, quasi all’unanimità, consigliano di non fare delle distinzioni tra i piatti da preparare per i maschi e quelli per le femmine (85%). Secondo il 68% dei Masterchef intervistati la merenda è un pasto a tutti gli effetti, da preparare sia a metà mattinata che nel pomeriggio, o da non saltare assolutamente nel pomeriggio (21%). Dolce o salata, i bambini per merenda possono mangiare yogurt, frullati di frutta o tramezzini con conserve vegetali e verdura fresca e di stagione.
Il segreto? Devono essere dei piatti colorati e facili da mangiare. Ma quali sono i consigli dei Masterchef per preparare una buona merenda? Innanzitutto, è bene fare una distinzione tra merenda dolce e merenda salata, la prima suggerita dal 23% degli intervistati, contro un 31% che invece opta per il salato. Ecco allora che tra gli alimenti consigliati come salato emergono verdure e insalata (61%), seguiti da sottoli-sottaceti (59%) e salumi e formaggi (27%). All’opposto, per preparare una merenda dolce tra gli alimenti suggeriti ci sono crostate (61%), yogurt (59%), frullato di frutta (42%) e cioccolato fondente (27%). Nonostante questa sotto distinzione, 1 chef su 2 suggerisce di preparare dei piatti misti che contengano sia il dolce che il salato. “Per lo spuntino delle 10.30 di mattina - consiglia Tano Simonato del Ristorante milanese Tano Passami l’olio - suggerisco sicuramente frutta fresca. Per lo spuntino pomeridiano dipende dalla corporatura del bambino e da cosa ha mangiato a pranzo. Indicativamente per il pomeriggio, se si decide per una merenda salata, sicuramente è bene consumare panini piccoli e non dei filoni, da condire magari con tonno, pomodoro, basilico, un filo d’olio e un po’ di sale oppure con mozzarella, pomodoro e basilico. Un’ alternativa al paninetto che trovo molto valida è la tartina, in quanto ha una fetta sola di pane, da condire con un filo d’olio due foglie di insalata e spalmi la crema di vitello” Per una buona merenda, quindi, il cibo deve essere facili da preparare per le mamme e da mangiare per i bambini che lo consumano mentre vanno in giro per casa (23%) o seduti sul divano (34%). Non stupisce allora che tra i piatti top spicchino tramezzini conditi con formaggi, salumi e insalata, insaporiti con sottoli-sottaceti (44%) oppure frutta affettata o tritata accompagnata da qualche scaglia di cioccolato (27%). Accanto alla “portabilità” del cibo, per invogliare il bambino a consumare una merenda sana e nutriente, bisogna curare molto anche l’estetica del piatto. Un aspetto quest’ultimo considerato dagli esperti molto importante (43%) o, comunque, un fattore da tenere in grande considerazione (37%), a dispetto di una minoranza che suggerisce invece di concentrarsi sul cibo in se e meno sulla sua presentazione (17%). Risulta allora fondamentale creare delle coreografie con il cibo (34%), un percorso/gioco di degustazione (31%) o, per chi ha meno tempo, usare dei contenitori, piatti e bicchieri colorati e dalle forme divertenti (25%).

mercoledì 29 ottobre 2014

Le bevande zuccherate come il fumo. Una bibita fa invecchiare di 2 anni

Non solo aumento di peso. Le bibite zuccherate e gassate possono accelerare l'invecchiamento tanto quanto fa il fumo. Un esempio? Le persone che hanno bevuto l'equivalente di una bibita al giorno subiscono variazioni nel Dna di cellule rendendole più vecchie di 1,9 anni.

Le bibite zuccherate e gassate possono accelerare l'invecchiamento tanto quanto fa il fumo. Un gruppo di ricercatori della University of California di San Francisco ha infatti scoperto che i danni provocati da queste bevande vanno ben aldila' del solo aumento di peso, ma aumentano anche la velocita' con cui le cellule invecchiano. Lo studio, pubblicato sull'American Journal of Public Health, ha dimostrato che le persone che hanno bevuto l'equivalente di due lattine di cola al giorno subiscono variazioni nel Dna di cellule rendendole piu' vecchie di 4,6 anni.
Una sola bibita al giorno, invece, ha reso le cellule piu' vecchie di 1,9 anni. Per arrivare a queste conclusioni gli scienziati hanno analizzato migliaia di campioni di Dna, prelevati da 5.309 persone di eta' compresa tra i 20 e i 65 anni. Lo scopo era quello di verificare se chi beve regolarmente bibite gassate ha i telomeri, le strutture microscopiche che si trovano all'estremita' dei cromosomi e che proteggono il Dna dai danni, piu' corti. Studi precedenti hanno dimostrato che piu' corti sono i telomeri maggiori sono i rischi di sviluppare malattie e di morire precocemente.
Ebbene, i risultati di quest'ultimo studio hanno permesso di scoprire che le persone che bevono regolarmente bibite zuccherate e gassate avevano telomeri significativamente piu' corti. L'effetto delle bibite gassate sui telomeri e' sembrato ai ricercatori molto simile a quello del fumo. "Questa e' la prima dimostrazione che la soda e' associata con l'accorciamento dei telomeri", ha precisato Elissa Epel, che ha coordinato lo studio.

Cibo in scatola: è sicuro per la salute?

Una grande quantità di alimenti presenti in commercio sono conservati in scatole o barattoli di latta e questo sembra la cosa più normale e salutare del mondo. Tuttavia, diversi studi rivelano che questo materiale genera un composto tossico che mette in pericolo la salute. Continuate a laggere l’articolo per conoscere i pericoli che derivano dal consumo del cibo in scatola.
Le scatole di latta hanno un rivestimento speciale fatto di resine di Bisfenolo A. Non ha importanza che ricordiate questo nome, sappiate solo che si accumula nel corpo e i suoi effetti non sono affatto benefici. Uno studio condotto presso l’Università di Harvard ha rivelato che le persone che hanno consumato zuppa in scatola per cinque giorni consecutivi hanno presentato una grande quantità di Bisfenolo A nell’urina. Poi, nei cinque giorni successivi queste stesse persone non hanno consumato alimenti in scatola e la loro urina non presentava alcuna traccia di Bisfenolo A.

Il Bisfenolo A è tossico?

Il Bisfenolo A (abbreviato in BPA) è oggetto di studio di molti scienziati. Un articolo pubblicato sulla rivista “Journal of the Medical Association” rivela che questo composto viene utilizzato per produrre plastica, resine e lattine. Negli Stati Uniti è stato diffuso un rapporto che mostra gli alti livelli di BPA nei neonati, nei bambini e nei feti.
Il Canada è stato il primo paese al mondo a dichiarare il BPA una sostanza tossica, lo stesso ha fatto l’Unione Europea che ha proibito l’uso di questo composto per la produzione di biberon. Tuttavia, le resine di BPA vengono usate per altri prodotti, come nel caso dei rivestimenti delle lattine o scatole in latta o metallo adibiti alla conservazione di alimenti e bevande.

Non ci sono ancora abbastanza informazioni per stabilire con certezza gli effetti nocivi dell’accumulo di Bisfenolo A nell’organismo. Tuttavia, i test sugli animali hanno dato risultati allarmanti. Ad esempio, si sa che il BPA è un distruttore endocrino, vale a dire, può alterare il funzionamento del sistema ormonale. Lo si collega al diabete, alle malattie cardiovascolari e all’obesità.

Di conseguenza, il problema non è tanto il contenuto delle lattine (anche se bisogna comunque fare attenzione), ma il contatto degli alimenti con il Bisfenolo A. Grazie ad una serie di esperimenti, gli scienziati stanno facendo il possibile per eliminare il BPA dai prodotti in scatola e per evitare il commercio di alimenti conservati in contenitori con BPA.

I rischi del cibo in lattina

Oltre alle lattine, il BPA è presente nella plastica e in certi alimenti sottovuoto. Gli unici incarti o recipienti che si “salvano” sono quelli in vetro o di carta (vi siete mai fermati a pensare a come cambia il sapore di un alimento in base a dove lo conservate?).
prodotti chimici sintetici usati per imballare, conservare o trasformare gli alimenti sono dei nemici silenziosi. Nessuno di noi sa quello che sta ingerendo o quali sono gli effetti sulla salute (nostra e della nostra famiglia). La maggior parte di questi composti non sono inerti, quindi possono trasferirsi sul cibo senza problemi.
Le persone che consumano una grande quantità di cibi in scatola sono più esposte a queste sostanze che, come vi abbiamo già anticipato, causano obesità, cambiamenti ormonali, problemi cardiaci e diabete.
È vero che non si sa molto a riguardo, nemmeno quali siano le tappe di queste sostanze all’interno dell’organismo. Quel che è certo è che le lattine contengono sostanze tossiche “famose”, come la formaldeide, conosciuta tra gli scienziati per i suoi effetti cancerogeniLa formaldeide è presente anche nelle bottiglie di plastica, anche se in minore quantità.

I pericoli delle scatolette di tonno

Non c’è dubbio che sia uno degli alimenti più consumati perché non richiede cottura e si può aggiungere a qualsiasi preparazione. Tuttavia, i benefici del pesce (il contenuto di acidi grassi Omega 3 e fosforo) potrebbero essere compromessi a causa del mercurio presente nelle scatolette in cui il tonno è conservato.
Il mercurio è un metallo dagli effetti tossici sul sistema nervoso. Oltre ad essere presente nelle lattine, è risaputo che anche l’acqua di molte aree di pesca lo contiene. Il mercurio può aumentare il rischio di infarto miocardico, di alterazioni neurosensoriali, di interferenze nello sviluppo neurologico (nel caso del feto), etc.

I rischi del rivestimento delle lattine in alluminio

La maggior parte delle lattine presenti in commercio e utilizzate per conservare gli alimenti presenta un rivestimento plastico, conosciuto anche come resina epossidica, applicato sulla superficie. Questo rivestimento serve ad evitare eventuali reazioni degli alimenti i cui acidi potrebbero erodere il materiale del contenitore. L’idea è quella di utilizzare lattine che durino a lungo nel tempo, per questo hanno una forma circolare e presentano questo rivestimento.

L’intossicazione da lattine, un problema “vecchio”

Se pensate che il problema degli alimenti in scatola sia nuovo, allora dovreste conoscere la storia della fatidica spedizione di John Franklin nell’Artico, dove molte persone dell’equipaggio sono morte proprio per aver mangiato cibo in scatola. Questo fatto è venuto alla luce molti anni dopo, grazie a diversi studi. La causa della morte fu avvelenamento da piombo, utilizzato per saldare le scatolette in latta. Anche se c’è del mito in questo racconto e i procedimenti di conservazione del cibo sono cambiati con il tempo, è bene sapere che il problema del cibo in scatola non è nuovo.

Non solo agrumi. Dai broccoli ai kiwi, ecco i 10 alimenti più ricchi di vitamina C

Chi l’ha detto che solo gli agrumi hanno la vitamina C? Scopri tutti gli alimenti più ricchi di acido ascorbico, perfetti per aumentare le difese immunitarie, proteggersi dai primi raffreddori e… molto di più

«Le vitamine sono sostanze essenziali indispensabili all’organismo che si trovano nei cibi di origine animale e vegetale, anche se non sempre equamente distribuite in tutti gli alimenti. Per questo motivo dobbiamo sempre seguire una dieta variata» spiegano Patrizia Cappelli e Vanna Vannucchi, nutrizioniste e autrici di numerosi testi dedicati alla scienza e cultura dell’alimentazione. Non solo, le vitamine sono spesso poco resistenti ai comuni trattamenti di manipolazione, cottura e conservazione dei cibi, da cui «l’importanza di consumare cibi freschi nella nostra dieta».
La vitamina C o acido ascorbico è idrosolubile, protegge dalle malattie cardiache, ictus, cataratta e diabete, produce collagene e irrobustisce vasi sanguigni, aiuta la guarigione delle ferite e delle fratture ossee e mantiene sani denti e gengive. Contribuisce alla produzione dei globuli rossi, facilita l’assorbimento di minerali come ferro e acido folico e rinforza il sistema immunitario. «In caso di carenza di acido ascorbico dovute a diete squilibrate in cui non si fa uso quotidiano di frutta e verdura fresca» spiegano le nutrizioniste «l’ipovitaminosi si manifesta con debolezza, mal di ossa, scarsa resistenza alle infezioni e anemia da carenza di ferro».
Fortunatamente, questa vitamina così preziosa per il nostro organismo è abbondantemente presente nella frutta e nella verdura fresche, ecco dieci alimenti per farne subito scorta:
BROCCOLI
Se consumati crudi l’apporto supera gli 80 mg ogni 100 grammi, il doppio rispetto ai cavolfiori.
CAVOLO RICCIO
Dal sapore pungente ed amarognolo, è una verdura ipocalorica e ricchissima di vitamina C.
AGRUMI
Arance e mandarini, pompelmi e limoni sono una fonte ricchissima di acido ascorbico.
PEPERONCINO
Ha un’altissima concentrazione di vitamina C, in particolare quello rosso.
TIMO
È la spezia più ricca in assoluto, ma è ne è ottima fonte anche il prezzemolo.
PEPERONI
A seconda del colore la quantità varia e quelli gialli sono in pole position.
PAPAYA
È un’ottima fonte di antiossidanti proprio grazie al contenuto di vitamina C, A ed E e licopene.
FRAGOLE
Questo delizioso frutto aggregato possiede vitamine in abbondanza, in particolare l’acido ascorbico.
CAVOLETTI DI BRUXELLES
Contengono una buona percentuale di sali minerali, tra cui fosforo e ferro, proteine, fibre e vitamine, su tutte proprio la vitamina C.
KIWI
Queste bacche ovali vantano una quantità di vitamina C addirittura superiore a quella degli agrumi.

Sale: ce n’è sempre troppo sulla tavola degli italiani

Ne spargiamo sui nostri piatti molto più di quanto serva. E a rimetterci sono le arterie. Ecco come cambiare abitudini, con i consigli di un celebre nefrologo, il professor Giuseppe Remuzzi

«Sale» non è soltanto quello che afferriamo a manciate per insaporire l’acqua della pasta o l’insalata, e solleticare così le papille gustative. Il sale condisce “silenziosamente” uno sterminato numero di cibi e in quote già sufficienti a soddisfare ogni esigenza corporea. «Ma lo sapete che ogni giorno, in Italia, ciascun adulto ingerisce in media circa 10 grammi di sale da cucina (ovvero 4 grammi di sodio), il che vuol dire, in soldoni, molto, molto più – quasi dieci volte – di quello fisiologicamente necessario?».  Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore del Dipartimento di Medicina e dell’Unità di Nefrologia e dialisi all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, nonché presidente dell’International Society of Nephrology (primo italiano a cui viene affidato questo incarico), rimarca con i numeri la verità palmare. Questa: la stragrande maggioranza (oltre tre quarti) del sale che ingurgitiamo è quello aggiunto agli alimenti nel processo di lavorazione industriale o da noi stessi a tavola e in cucina. La rogna è che più consumiamo alimenti salati, più si tende a sviluppare, per l’adattamento del gusto, una preferenza per il sapido.

UNA FORZA NOCIVA SULLE PARETI DELLE ARTERIE –Il rene è in genere assai efficiente nell’eliminare il sodio introdotto in eccesso. Ma non siamo tutti uguali, ovvero: in virtù del personale patrimonio genetico, ci sono individui che potrebbero tracannare un’intera saliera, senza che la loro pressione arteriosa faccia un plissè. Altri, invece, sempre a causa del proprio mix di geni, si vedono costretti a sorvegliare l’introito alimentare di sodio. Pena: un aumentato rischio di subire una “crisi” cardiovascolare. «Infatti, il sodio possiede una spiccata capacità di attrarre acqua», interviene Remuzzi, «e ciò, nel corpo, incrementa la massa di liquido che scorre nei vasi sanguigni. Questa, in un circolo perverso,  esercita una “forza” sulle pareti delle arterie, che finiscono per diventare più rigide». E il risultato è un nemico che affligge il 20 per cento della popolazione mondiale:l’ipertensione arteriosa. Ipertensione che, se non viene imbrigliata, incrementa lo spessore delle pareti del muscolo cardiaco (col rischio di uno scompenso). E scombussola poi la struttura delle arterie del cuore stesso (i pericoli si chiamano angina e infarto), del cervello (su cui grava l’ombra di un ictus), della retina (leggi: calo della vista) e del rene (che non lavora più correttamente e diventa insufficiente).
PAROLA D’ORDINE: MODERAZIONE! – Un quadro plumbeo. A rischiarare il quale, però, provvede fortunatamente un dato scientifico ben assodato: le popolazioni che vantano un abituale, basso consumo di sodio brillano per la quasi completa assenza di ipertensione. Non solo: nemmeno vengono toccate da un fenomeno tipico delle società industriali, cioè l’aumento della pressione arteriosa con l’età. «C’è di più: se riducessimo a 5 grammi il consumo giornaliero di sale, vedremmo la “massima” ridursi di almeno 2 millimetro di mercurio in chi ha la pressione normale, e di almeno 5 millimetri nelle persone ipertese», spiega Remuzzi. Numeri piccini?  «Mica tanto», sorride Remuzzi. «Negli Stati Uniti hanno calcolato che abbassando stabilmente la pressione di almeno 3 mm di mercurio, gli ictus cerebrali si ridurrebbero dell’11 per cento, gli infarti del 7 per cento, e i decessi del 5 per cento. Vorrebbe dire 120 mila morti in meno ogni anno soltanto negli USA!». Da noi, almeno 30 mila decessi in meno.
COME DARSI UNA REGOLATA – Ce n’è abbastanza per convincersi a salare meno la vita. A questo punto, quali contromosse attuare per non abusarne? «Il fatto è che non basta dirsi: “Da domani smetto di spruzzare sale sui miei piatti!”, se poi continuiamo imperterriti ad abbuffarci di prodotti da forno (pane, biscotti, crackers e grissini, da cui finiamo per assumere importanti quantità di cloruro di sodio) e a condire le nostre portate con dadi da brodo (anche sotto forma di granulato), ketchup e senape», interviene Remuzzi. Occhio, poi, alle cosiddette fonti “nascoste” di sale: i cibi in scatola, i piatti pronti surgelati o in busta (come la pasta e le ministre conservate), la maionese, i sottaceti, le olive da tavola.Importante è imparare a sorvegliare le etichette di tutti i prodotti confezionati: qui, gli ingredienti presenti in quantità superiori sono menzionati per primi; quelli indicati per ultimo sono meno rappresentati in quell’alimento. E, comunque, la quantità di sodio contenuta viene sempre evidenziata (sotto forma di diciture varie: bicarbonato di sodio, fosfato monosodico, glutammato monosodico…).
UNA RIDUZIONE GRADUALE – E come comportarsi con le acque minerali? «In tutte», dice Remuzzi, «la presenza di sodio è obiettivamente così bassa da non incidere sulla salute dei vasi sanguigni». Il trucco universale, comunque, sta nel far sì che la diminuzione giornaliera di sale avvenga gradualmente. Per esempio, nella pausa pranzo, si sappia che un panino con prosciutto crudo e formaggio ci “regala” 4,5 grammi di sale; l’accoppiata “pomodoro & mozzarella”, invece, soltanto 2 grammi. Le nostre papille sono permissive e si rieducano agevolmente a gustare i cibi meno sapidi. Così, nel giro di qualche mese, questi risulteranno saporiti, e quelli conditi alla maniera precedente ci sembreranno eccessivamente forti. Non salare per credere!

Castagne, fonte d’energia

Aiutano a recuperare la vitalità e il benessere. Purchè siano la portata principale, visto che contengono le stesse calorie di un piatto di pasta

Stress e stanchezza? Se cercate un alleato naturale (e di stagione!), concedetevi una manciata dicastagne. Sono una vera risorsa, per l’organismo: ricche di zuccheri e calorie, aiutano a recuperare il benessere e l’energia.
Certo, a mangiarne troppe, la linea potrebbe risentirne (un etto di castagne equivale a un piatto di pasta), ma anche in questo caso esistono alcuni “trucchi” utili per non appesantirsi. Per esempio, evitate di consumarle dopo il pranzo o la cena, oppure a merenda, altrimenti finiranno per fermentare nello stomaco, lasciando un senso di gonfiore: fate invece in modo che siano la portata principale del pasto.
Le castagne sono ottime bollite, magari con cannella e zenzero (non gettate l’acqua di cottura: è un ottimo fertilizzante per le piante), oppure arrostite. Potete anche accompagnarle con le verdure di stagione, ma cercate di non abbinarle al pane, ai cereali o ai cibi molto proteici, come la carne o le uova. Provatele, invece, nella minestra di verdura: la renderanno buonissima.
Le castagne sono anche efficaci per combattere la stitichezza, e rinforzano il sistema circolatorio. Per una colazione energetica, magari in previsione di una giornata impegnativa e logorante, si può preparare una crema con la farina che si ricava dalle castagne secchie: bisogna mescolarla con l’acqua, cuocere una ventina di minuti e aggiungere il miele. Questa farina è anche l’ingrediente base del castagnaccio, un dolce della tradizione toscana, adatto anche ai celiaci.


martedì 28 ottobre 2014

Donne meno depresse grazie al pesce (purché ricco di omega 3)

L'alimentazione aiuta a tenere a bada la depressione, ma i benefici potrebbero riguardare solo il cervello femminile

Pesce per allontanare il rischio di depressione: la proposta arriva dall'Australia, dove un gruppo di ricercatori del Menzies Research Institute Tasmania di Hobart ha svelato che le donne che mangiano varietà di pesce ricche di omega 3 più di due volte alla settimana riducono del 25% il rischio di avere a che fare con questo disturbo psicologico. Le loro ricerche, pubblicate sull'American Journal of Epidemiology, hanno previsto di monitorare per 5 anni la salute mentale di oltre 1.400 fra uomini e donne di età variabile tra i 26 e i 36 anni che hanno fornito informazioni sulle loro abitudini alimentari quotidiane e ha svelato che nel caso femminile ogni porzione di pesce in più alla settimana taglia del 6% il rischio di depressione, il tutto indipendentemente da cattive abitudini come il fumo e il consumo eccessivo di alcolici e da altri fattori come il peso e l'attività fisica.

Il fatto che questa associazione non sia stata rilevata anche nel caso degli uomini ha portato i ricercatori a formulare due ipotesi. Da un lato, gli omega 3 presenti nel pesce, ritenuti i probabili responsabili dei benefici osservati, potrebbero interagire con gli ormoni femminili.  D'altra parte il fatto di aver osservato, nel caso degli uomini, l'assenza di benefici in termini di depressione potrebbe essere semplicemente dovuto alla mancanza di partecipanti di genere maschile che consumassero abbastanza pesce. Ciò significherebbe che gli uomini potrebbero beneficiare degli stessi effetti osservati nelle donne se introducessero più pesce nella loro alimentazione settimanale. In effetti gli omega 3 del pesce grasso (ad esempio il salmone, ma anche lo sgombro, le sardine e il tonno) sono molecole abbondanti nel cervello e studi condotti in passato hanno dimostrato che il consumo di varietà di pesce che ne sono ricche può influenzare l'umore.

Il finocchio aiuta la dieta: poche calorie, tanti minerali

Allontana tumori e malattie cardiache, ed è antiossidante

Utilizzato sin dai tempi antichi come medicamento e come spezia per dare sapore e profumo alle pietanze, il finocchio è un ortaggio molto apprezzato per la sua consistenza croccante e il suo sapore fresco vagamente simile a quello dell'anice. Piuttosto versatile in cucina - può infatti essere consumato sia crudo che cotto, e si adatta quindi con facilità a tutte le stagioni - è particolarmente diffuso nella cucina greca e italiana, anche se il suo utilizzo si è diffuso a livello globale nel corso degli anni. Ma qual è la composizione nutrizionale di questa pianta di cui risultacommestibile ogni parte, dal bulbo, al gambo, passando per le foglie e i semi

Una porzione di finocchio crudo da circa 200 grammi contiene circa 70 calorie, tracce di grassi e 0 milligrammi di colesterolo, oltre a 1,7 grammi di carboidrati, 4 grammi di fibra alimentare (20% circa del fabbisogno giornaliero) e 2,5 grammi di proteine. Quanto ai micronutrienti in esso contenuti, tra le vitamina la vitamina C è quella maggiormente rappresentata - 200 grammi di finocchio crudo provvedono infatti al 46% del fabbisogno giornaliero di vitamina C - seguita dalla vitamina A (6% del fabbisogno giornaliero in 200 grammi di finocchio e al 5% di vitamina B 6, oltre all'acido folico e alla vitamina K. Tra i minerali sono il potassio, il calcio, il magnesio e il ferro queli presenti in maggiori quantità: 200 grami di finocchio crudo forniscono infatti il 27% circa del fabbisogno giornaliero di potassio, l'11% di quello di calcio, il 10% di magnesio e il 9% di ferro (oltre a quantità minori di sodio, fosforo, zinco, rame, manganese e selenio). 

Diversi i benefici per l'organismo. Le vitamine A e C hanno entrambe potere antiossidante in grado di preservare le cellule dai danni dei radicali liberi; la vitamina B 6 è molto importante per l'integrità del sistema nervoso e indispensabile per la sintesi della serotonina, il neurotrasmettitore "del benessere"; l'acido folico è fondamentale per la salute del nascituro e svolge un ruolo di primaria importanza nella sintesi e nella riparazione del Dna cellulare; la vitamina K è essenziale per la salute delle ossa. Quanto ai minerali, il potassio svolge un ruolo cruciale nelbilancio idrico, nel mantenimento della pressione sanguigna e nel regolare l'eccitabilità neuromuscolare e laritmicità del cuore; il calcio è essenziale per la salute di denti e ossa, ma anche per il buon funzionamento del cuore e del sistema nervoso; il magnesio è importante per le attività e l’equilibrio del sistema nervoso;  il ferro favorisce la produzione di emoglobina e di globuli rossi, assicurando una corretta ossigenazione di tutti i tessuti dell'organismo. 

Senza dimenticare che il finocchio contiene anche nitrati alimentari (utili per tenere sotto controllo la pressione) ed è una fonte naturale di fitoestrogeni, ovvero di sostanze che, una volta all'interno dell'organismo umano, hanno comportamenti simili a quelli degli ormoni femminili.

Etossichina: l’Italia la mette al bando. Allarme per frutta tossica spagnola

Niente etossichina nella frutta nostrana. I ministeri della Salute e dell'Ambiente hanno ufficialmente messo al bando il ricorso all'uso della molecola etossichina per consentire laconservazione a lungo termine della frutta. E' allarme però per le importazioni da stati comeSpagna e Portogallo in cui questo agrofarmaco è ancora largamente utilizzato.
Il motivo è presto detto: come si legge in unanota, sono state "sollevate rilevanti criticità relative al valore degli attuali residui rispetto al rischio per la salute degli utilizzatori e dei consumatori". In pratica, l'etossichina è pericolosa per la nostra salute.
Ma cos'è l'etossichina? È un agrofarmaco che viene impiegato per evitare il cosiddetto "riscaldo superficiale" dei frutti durante la frigoconservazione. Nel marzo del 2011, la Commissione Europea ne revocò l'utilizzo (la molecola, infatti, già aveva sollevato dei dubbi sulla sua effettiva sicurezza in quanto largamente applicata ai cibi per animali per evitare l'irrancidimento dei grassi), ma negli Stati extra-UE e anche in alcuni Paesi europei (Spagna in primis) si continua a utilizzare questa molecola grazie a continue moratorie, con concentrazioni residue fino a 3,00 PPM per frutti altamente deteriorabili come le pere.
Fate attenzione, quindi, alla provenienza di frutta e verdura. Nelle motivazioni dei rappresentanti dei due ministeri si legge infatti come, oltre a un problema di concorrenza sleale nei confronti delle aziende Made in Italy da parte di Paesi come Spagna e Portogallo che questa molecola ancora la utilizzano, vi è anche l'effettiva preoccupazione che l'etossichina, ai valori degli attuali residui riscontrati, possa essere tossica per il nostro organismo. Una questione sollevata anche dalla determinazione dell'Istituto Superiore di Sanità. Nella stessa dichiarazione, inoltre, i dicasteri si augurano che tutti gli stati membri dell'Unione Europea seguano un percorso comune nel mettere al bando una volta per tutti tale molecola.
A ribadire l'allarme per la frutta spagnola è la Coldiretti che in una nota chiede controlli con il blocco immediato delle importazioni:
"Una misura necessaria per tutelare la salute dei consumatori e difendere i produttori italiani dalla concorrenza sleale" ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel chiedere che "il Governo si adoperi a livello comunitario per la definizione di norme che siano comuni a tutti gli Stati Membri". La Spagna –sottolinea la Coldiretti - è il principale fornitore di frutta in Italia con un valore delle importazioni che è aumentato del 5 per cento nel 2013 per un totale di 478 milioni di chili dei quali ben 22 milioni di chili sono rappresentati da pere sulle quali nel Paese iberico è consentito l'utilizzo della molecola tossica. L'uso di questo formulato per il trattamento della frutta - continua la Coldiretti - è infatti ancora ammesso in Spagna sulle pere destinate ad essere vendute anche in Italia nonostante siano state sollevate rilevanti criticita' relative al valore degli attuali residui rispetto al rischio per la salute degli utilizzatori e dei consumatori, da parte delle autorità scientifiche
 Insomma, sono tempi questi in cui conviene ancora prediligete il fruttivendolo di fiducia sotto casa o la frutta e la verdura biologica. Se vi trovate al supermercato, invece, non dimenticate mai di dare un'occhiata all'etichetta o alle tabelle informative sui banconi.

Fonte

Wurstel: quella carne separata meccanicamente dalle carcasse di pollo e tacchino

Sapevate che i wurstel di pollo confezionati si ottengono per lo più utilizzando carne separata meccanicamente (CSM) dalle carcasse di pollo e tacchino? Vi avevamo già parlato dellaproduzione degli hot dog, i famosi panini con wurstel la cui carne viene ottenuta rilavorando le parti di scarto della carne di maiale e i resti delle carcasse dei polli.
Le informazioni sui wurstel e gli hot dog in vendita all'estero erano state messe a disposizione del Daily Mail. Cosa succede per quanto riguarda i wurstel di pollo in vendita in Italia? Il Fatto Alimentare ha approfondito la questione e ha analizzato le etichette dei wurstel di pollocomunemente in vendita nei supermercati italiani.
Ne è risultato che di norma i wurstel di pollo confezionati contengono carne separate meccanicamente dalle carcasse di pollo e tacchinio che vengono "spremute" per ottenere ingredienti che vanno a finire direttamente nei wurstel che molti consumatori portano sulle proprie tavole e servono senza problemi anche ai bambini, senza sapere della presenza di parti di scarto e ingredienti meno "nobili", pagati comunque profumatamente. Molte persone, purtroppo, si fidano ciecamente delle aziende e delle pubblicità, senza indagare le origini degli ingredienti di ciò che mangiano.
Sulle confezioni dei wurstel di pollo la carne sperata meccanicamente viene indicata come CSM. Una volta svelato il significato di questa sigla, diventa semplice riconoscerla in etichetta. Le confezioni di wurstel di pollo e/o di tacchino poste sotto la lente da Il Fatto Alimentarecontengono tutte carne separata meccanicamente.
Il riferimento è a vari marchi molto noti che negli spot pubblicitari spesso vantano la qualità dei propri prodotti: Amadori, Fiorucci, Aia e Wuber, per citare i principali. Tutti questi prodotti contengono carne separata meccanicamente di pollo e/o di tacchino tra gli ingredienti. Una caratteristica che potrebbe trasformarli in alimenti di qualità molto più scarsa rispetto a quanto le aziende vorrebbero far credere ai consumatori.
Tra l'altro non di rado i wurstel di pollo sono stati presentati come l'alternativa light e più salutare aiwurstel di suino. In realtà questi ultimi potrebbero contenere quantità di CSM inferiore, dato che le ossa di suino non verrebbero "spremute" per ottenere gli scarti da trasformare in "proteine nobili".
Perché le aziende usano la CSM? Semplicemente perché la carne separata meccanicamente è conveniente e costa meno quindi questo stratagemma incrementa i loro guadagni. Sta ai consumatori scegliere se acquistare questi prodotti e leggere attentamente le etichette per comprendere gli ingredienti di cui sono composti. A tavola e mentre fate la spesa meglio non dare mai nulla per scontato.

lunedì 27 ottobre 2014

5 pratici consigli per dire addio al dolore articolare

Di sicuro vi sarà successo qualche volta di alzarvi la mattina stanchi come se aveste fatto grandi sforzi durante la notte: fate persino fatica a muovere le mani e quando scendete le scale sentite delle fitte alle ginocchiaCome possiamo calmare l’insopportabile dolore articolare?

Consigli per calmare il dolore articolare

Le persone che soffrono di dolori articolari sono moltissimi: è un problema provocato dall’artrite, dai reumatismi, dall’artrosi, ecc. Anche se non sempre è possibile eliminare del tutto il dolore ed è bene imparare a conviverci, quello che potete fare è seguire delle strategie di base che vi permetteranno di ridurrlo e, soprattutto, di ottenere una qualità di vita migliore.
Dovete sempre seguire i consigli del vostro medico e non eccedere nel consumo di medicine come gli antinfiammatori, visto che questi potrebbero causare degli effetti collaterali. Vi assicuriamo che esistono dei rimedi molto semplici che vi possono essere di grande aiuto. Volete conoscerli?

1. Consumare zenzero ogni giorno

no studio realizzato dall’università di Miami ha dimostrato che prendere due capsule al giorno di zenzero aiuta a disinfiammare le articolazioni e a calmare i dolore. Di fatto, le proprietà dello zenzero sono molto simili a quelle dell’ibuprofene (ma senza gli effetti collaterali come il mal di stomaco o i rischi circolatori). Le pastiglie di zenzero si possono trovare nei negozi naturali o in erboristeria, e la dose consigliata è di due compresse al giorno. Ad ogni modo, potete sempre ricorrere al classico infuso: grattugiate un cucchiaio di radice di zenzero e mettetela a bollire in una tazza di acqua. Bevete l’infuso la mattina e la sera.

2. Attenzione ad alcuni alimenti

Prendete nota dei seguenti alimenti: la cosa migliore è eliminarli o prenderli in piccole quantità, se volete diminuire il problema del dolore articolare.
  • Latticini: contengono un elemento chiamato caseina che favorisce l’infiammazione delle articolazioni. Se siete degli amanti di latte e yogurt, iniziate a valutare di ridurli per il bene della vostra salute e qualità di vita.
  • Carni rosse: eliminatele del tutto, perché non sono buone per la salute in generale e in particolare per chi ha problemi alle articolazioni.
  • Grano: vi sorprende? È possibile. Secondo studi recenti, infatti, il grano e molti cereali che contengono glutine possono causare infiammazioni alle articolazioni delle persone che soffrono di artrite. La soluzione? Ridurre questi alimenti nella nostra dieta, per vedere se la situazione migliora. Alcune persone non notano nessun cambiamento, mentre alte riconoscono che la qualità della loro vita migliora dopo aver eliminato il glutine.
  • Uova: è bene stare attenti al loro consumo. Essendo un prodotto animale, infatti, le uova contengono acido arachidonico nell’albume, un elemento che favorisce il processo infiammatorio e che potrebbe farci sentire gonfi e doloranti. È vero che le uova sono un alimento molto sano e ricco di proteine, ma le proteine animali alle volte possono causare effetti inaspettati.
  • Attenzione alle solanacee: ne avete sentito parlare? Quando parliamo di solanacee facciamo riferimento ai pomodori, ai peperoni, alle melanzane… Sono verdure che a volte possono causare rigidità muscolare e scheletrica, e che a volte favoriscono le emicranie e le infiammazioni articolari. Tutto ciò è dovuto ad un alcaloide tossico chiamato solanina, un composto che può aumentare le infiammazioni, soprattutto nelle persone che già soffrono di questa malattia. Le verdure migliori che potete consumare sono, per esempio, le carote.

3. Sì al tè verde di mattina

Siete degli appassionati del tè verde? Buon per voi, perché i suoi polifenoli (antiossidanti) sono degli ottimi alleati per prevenire e calmare gli effetti dell’artrosi e del dolore articolare. Quindi ricordate: non dimenticate mai di bere un bel bicchiere di tè verde durante la colazione.

4. Una grande alleata: la vitamina E

Di sicuro ne avrete sentito parlare, perché le sue proprietà sono meravigliose per contrastare gli effetti dell’artrosi ed è considerata una vera e propria medicina. L’ideale è prenderne due pastiglie al giorno, troverete le quantità indicate nelle scatolette in vendita nei negozi di prodotti naturali o in farmacia. Sapete che potete trovare la vitamina E anche nella maggior parte delle verdure a foglia verde? Per ottenere una dose adeguata, però, è meglio ricorrere agli integratori: di sicuro li troverete nella vostra farmacia.

5. Alimenti che possono ridurre il dolore e migliorare il vostro stato d’animo

Migliorare la qualità della nostra vita è imprescindibile. Questo si ottiene conuna buona alimentazione, che includa nutrienti che non solo riducono il dolore articolare, ma risollevano anche il nostro stato d’animo. Volete qualche consiglio da seguire?
  • Consumate sempre alimenti freschi (frutta e verdura). Evitate gli alimenti surgelati o prodotti industrialmente, visto che contengono degli elementi che favoriscono l’infiammazione articolare.
  • Frutta secca:noci, mandorle, pistacchi… Ci danno energia e sono molto sani.
  • Succo di limone: ci apporta antiossidanti ed è molto adeguato soprattutto se bevuto di mattina.
  • Olio di fegato di merluzzo: un classico. È stato dimostrato che, grazie ai suoi oli ricchi di omega 3, è molto efficace per coloro che soffrono di problemi articolari. Quindi non esitate a includerne un cucchiaino al giorno nella vostra dieta.
  • Aceto di mele biologico: semplicemente perfetto. Calma il dolore ed è altamente raccomandato per la nostra salute.
  • Semi di quinoa e amaranto: li avete mai provati? Sono un super-alimento, dei semi meravigliosi che vi daranno grandi benefici per la salute e che, giorno dopo giorno, riusciranno a calmare anche il dolore articolare.


domenica 26 ottobre 2014

Antibiotici negli allevamenti: gli effetti negativi e le malattie che possono ritorcersi contro di noi

Antibiotici negli allevamenti, un tema molto delicato sia per quanto riguarda il benessere degli animali che per quanto concerne la formazione di batteri super resistenti ai medicinali convenzionali. Ridurre gli animali a mera fonte di reddito rinchiudendoli negli allevamenti e somministrando loro potenti antibiotici può portare alla diffusione di malattie che si ritorceranno contro l'umanità.
Due settimane fa dagli Stati Uniti è giunto un nuovo allarme sull'abuso di antibiotici negliallevamenti di pollame. I maggiori allevamenti di pollame Usa somministrano gli antibiotici agli animali ogni giorno, di prassi, con il mangime, anche in assenza di malattie. Simili dosi secondo gli esperti favoriscono lo sviluppo di batteri super resistenti ai farmaci utilizzati per il trattamento dei pazienti. Il punto è che gli allevatori somministrano agli animali antibiotici che appartengono alla stessa categoria di farmaci utilizzati per gli umani, secondo le classificazioni dell'Fda.
Al giorno d'oggi, l'80% degli antibiotici utilizzati negli Usa non verrebbe somministrato ai pazienti, bensì agli animali da allevamento. Un circolo vizioso che probabilmente alle aziende consente una produzione maggiore, ma che rischia di mettere in pericolo la salute di tutti.
La California ha iniziato a muoversi controcorrente. Il governatore della California ha infatti appena votato la prima legge statale per ridurre l'impiego di antibiotici negli allevamenti e ha incoraggiato i legislatori ad individuare nuove strade per prevenire l'abuso di antibiotici.
Alcuni consumatori e gruppi ambientalisti hanno considerato la proposta di legge troppo debole, poiché risultava molto simile alle misure già esistenti indicate dall'Fda (qui le linee guida Fda in PDF) e troppo debole per portare ad un cambiamento concreto. Ecco allora che si troveranno nuove vie per ridurre l'impiego di antibiotici negli allevamenti e che la California continuerà ad impegnarsi in questo senso, nella speranza che possa essere d'esempio per altri Stati.
Secondo un gruppo di scienziati statunitensi, l'abuso di antibiotici negli allevamenti e in medicina sta mettendo a rischio la vita umana e innalzando a dismisura i costi della sanità pubblica. Si parla ormai di una vera e propria crisi della salute e del sistema sanitario, tanto che ai soli ospedali le infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici costano 20 miliardi di dollari all'anno. Ormai non vi sono più dubbi: la somministrazione continua e regolare di antibiotici agli animali di allevamento in dosi non terapeutiche (e dunque di routine, anche in assenza di malattie) sta contribuendo alla resistenza dei batteri ai farmaci.
Ma non finisce qui. Secondo l'ultimo rapporto dell'Oms sulla resistenza globale agli antibiotici,alcune malattie che sembravano ormai scomparse o facili da curare potrebbero ritornare a colpire e ritorcersi contro di noi, con molta forza, proprio a causa dell'abuso di antibiotici negli allevamenti. Alcune malattie, come la tubercolosi, diventate curabili in passato, ora risultano spesso fatali.
E il problema non interessa soltanto i Paesi in via di sviluppo e le zone del mondo in cui l'assistenza sanitaria è scarsa. L'allarme è già qui e le seguenti sono soltanto alcune delle infezioni che potranno tornare a minacciarci per via del nostro comportamento irresponsabile. In nome del profitto gli allevamenti intensivi non solo sfruttano gli animali fino alla morte, ma mettono in pericolo la salute di tutta l'umanità.

1) Tubercolosi

La tubercolosi si cura normalmente nel giro di 6 mesi prescrivendo ai pazienti una terapia apposita, basata su antibiotici un tempo molto potenti. Ora però i batteri si stanno dimostrando sempre più resistenti ai trattamenti convenzionali, tanto che in Paesi come l'Africa gli ospedali sono costretti a dimettere i malati di tubercolosi poiché non riescono a curarli con farmaci che invece dovrebbero risultare efficaci.

2) Gonorrea

La gonorrea è una malattia a trasmissione sessuale che nei secoli ha rappresentato un tabù. Da tempo ormai la si considera facilmente curabile e non di certo una minaccia. Una volta la si curava con la penicillina, ma ora i batteri che provocano la malattia hanno sviluppato livelli di resistenza così alti che esisterebbe al momento solo un farmaco in grado di contrastarli. Ma anche questo antibiotico, conosciuto come ceftriaxone, sta diventando meno efficace.

3) Klebsiella

Forse non avete mai sentito parlare di questo batterio che in realtà è piuttosto comune. Può infatti causare meningite, diarrea, polmonite e infezioni delle vie urinarie. E' stato già incluso in un gruppo di batteri noti come Eskape, per via della loro abilità di evitare gli effetti degli antibiotici impiegati contro di loro. Di questo gruppo fa parte anche lo Staphylococcus aureus.

4) Febbre tifoidea

Le vaccinazioni contro il tifo ci fanno pensare che questa malattia sia stata ormai debellata, ma in realtà colpisce ancora 21,5 milioni di persone ogni anno nel mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. I viaggi e la globalizzazione aumentano le potenzialità di infezione. Ogni anno più di 5000 persone si ammalano di tifo negli Usa a causa di cibi e bevande contaminati. La febbre tifoidea è causata dal batterio Salmonella typhi, che appare sempre più resistente agli antibiotici.

5) Sifilide e difterite

La sifilide attualmente viene trattata con una singola iniezione di penicillina, ma la resistenza a questo antibiotico si è già sviluppata nel caso di altre malattie. La difterite, accompagnata da febbre e brividi, è diffusa soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, ma il rischio di contagio è sempre presente, così come quello di sviluppo di nuove resistenze dei batteri agli antibiotici.
Cosa possiamo fare per limitare il problema della resistenza agli antibiotici? Innanzitutto, come da oggetto di questo articolo, sarebbe bene vietare l'impiego inutile e non necessario di antibiotici negli allevamenti.
Qualcosa possiamo fare comunque anche noi persone comuni. Non assumiamo antibiotici quando non è necessario. Gli antibiotici vanno assunti solo se prescritti da un medico e i medici stessi dovrebbero indicarli come cura soltanto quando i pazienti ne hanno davvero bisogno e in assenza di alternative. Ad esempio, gli antibiotici, che combattono i batteri, sono inutili nel caso dell'influenza, che è provocata da un virus. Un maggior impegno da parte di tutti potrebbe fare in modo che malattie curabili non ci si ritorcano contro ritornando fatali a distanza di decenni.