venerdì 27 giugno 2014

Aceto: efficace anche contro la tubercolosi



.Aceto efficace anche contro la tubercolosi?L’aceto è un rimedio naturale conosciuto fin dall’antichità per le sue proprietà, già ai tempi di Ippocrate infatti veniva utilizzato per curare i disturbi più comuni, in particolare per disinfettare le ferite. Attualmente la ricerca scientifica si concentra su alcune sue caratteristiche per provare gli effetti benefici di questo condimento molto comune sulle nostre tavole. La novità di oggi arriva dal Venezuela dove una nuova ricerca ha messo in luce le proprietà antibatteriche di questo prodotto che sarebbe efficace addirittura contro la tubercolosi.
Lo studio, effettuato a Caracas dal Laboratory of Molecular Genetics del Venezuelan Institute of Scientific Investigation (IVIC), ha messo il luce come un principio attivo presente nell’aceto, l’acido acetico, sia in grado di uccidere i microbatteri della tubercolosi (Tbc) di cui alcuni ceppi sono particolarmente pericolosi in quanto antibiotico-resistenti.
La scoperta è arrivata abbastanza casualmente. Infatti l’aceto doveva essere usato nell’esperimento insieme ad altre sostanze, sarebbe stato quindi il mix a dover essere testato sulmicrorganismo che causa la Tbc (Mycobacterium tuberculosis) per valutarne l’efficacia. La ricercatrice Claudia Cortesia, però, si è accorta che l’aceto era in grado di uccidere il batterio anche senza l’aiuto di altre sostanze. A questo punto, allora, lo studio ha preso una piega diversa e quello che hanno fatto i ricercatori da quel momento in poi è stato testare una soluzione di acido acetico al 6% per 30 minuti sui diversi ceppi di tubercolosi. Risultato? Anche quelli rinomatamente più resistenti ai farmaci venivano debellati.
Questa scoperta, i cui dettagli sono stati pubblicati sulla rivista mBio della American Society for Microbiology, porterà alla preparazione di una soluzione a base di aceto (dunque oltre che naturale anche a basso costo) da utilizzare come disinfettante negli ospedali e in altre strutture sanitarie in modo tale da evitare che batteri pericolosi possano propagarsi.
Anche a casa nostra, però, possiamo evitare di comprare disinfettanti di origine chimica e prediligere invece un prodotto naturale e a basso costo come l’aceto!

Cuore: il ferro della carne rossa aumenta il rischio di malattie cardiache?

L'eccesso di ferro nella carne rossa non soltanto sarebbero tra le cause dell'Alzheimer, come riportato da uno studio condotto di recente, ma contribuirebbe anche ad aumentare il rischio dimalattie cardiache, almeno secondo le ultime ricerche. Nessun rischio, invece, per quanto riguarda il ferro presente negli alimenti vegetali.
La nuova ricerca potrebbe contribuire a comprendere meglio il legame tra diete ricche di carne e malattie cardiache. La tipologia di ferro in questione viene denominata "ferro eme". Si tratta del ferro contenuto negli alimenti di origine animale e in particolar modo nella carne rossa (ma anche nel pesce, nei molluschi, nel fegato e in altri tipi di carne). Il ferro eme viene assorbito più facilmente dal nostro organismo rispetto al ferro non-eme presente nei vegetali.
Per questo motivo, spesso viene raccomandata l'assunzione di carne come fonte essenziale di ferro. Il problema è che l'elevata biodisponibilità del ferro eme potrebbe risultare correlata all'infiammazione e al danneggiamento delle arterie. Lo studio in questione è stato condotto dai ricercatori dell'Indiana University School of Public Health di Bloomington e verrà pubblicato sulla prossima edizione del Journal of Nutrition.
Da molto tempo gli esperti sospettavano che livelli troppo alti di ferro nel sangue potessero contribuire all'insorgere di patologie cardiache, o addirittura del cancro, ma nessuno studio aveva mai condotto a conclusioni certe. Nella nuova ricerca gli scienziati hanno analizzato 21 studi che hanno coinvolto quasi 300 mila partecipanti nel corso di 10 anni.
Si tratta della prima ricerca incentrata sull'analisi degli effetti indipendenti di ferro eme e non-eme su persone a rischio di malattie coronariche. I partecipanti che consumavano soprattutto ferro eme mostravano un incremento del 57% del proprio rischio cardiovascolare rispetto a coloro che assumevano le quantità più basse di ferro eme. Il ferro non-eme, invece, non è stato associato a un rischio più elevato di malattie cardiache.
La differenza chimica tra le due tiplogie di ferro potrebbe spiegarne i rispettivi effetti sulla salute. Secondo gli esperti, la struttura del ferro eme permetterebbe al nostro corpo di assorbirlo anche quando i livelli presenti nel sangue sono già ottimali. Una volta assorbito, il ferro può velocizzare l'ossidazione del colesterolo LDL, provocando un'infiammazione in grado di danneggiare i tessuti delle arterie.
Il rischio cardiaco potrebbe essere aggravato da un basso consumo di frutta e verdura, accompagnato da un'elevata assunzione di carne. In ogni caso, gli esperti hanno sottolineato che saranno necessarie ulteriori ricerche per stabilire la relazione causa-effetto tra ferro eme e patologie cardiache.

Cancro al seno, 17 sostanze da cui bisogna stare alla larga

Svelati i principali fattori di rischio non-genetici per il tumore mammario


rischio di sviluppare un cancro al seno dipende da un insieme di fattori ambientali e genetici. Questi ultimi sono però responsabili solo del 5-10% dei tumori diagnosticati. Oggi un nuovo studio svela quali sono i principali composti chimici che possono essere alla base degli altri casi di cancro al seno e da cui, proprio per questo motivo, le donne dovrebbero tenersi il più possibile alla larga. A condurlo sono stati i ricercatori del Silent Spring Institute (Newton, Stati Uniti), che pubblicando la lista delle 17 sostanze che aumentano il rischio di cancro al seno sulla rivista Environmental Health Perspectives forniscono per la prima volta una mappa che guida sulla strada della prevenzione.

Le sostanze in questione sono l'1,3-butadiene (presente nella benzina e nei gas di scarico dei veicoli, nel fumo di tabacco e in quello di alcuni oli per la cottura), l'acrilammide (presente nel cibo cotto, nel fumo di tabacco, nei prodotti collaterali dei trattamenti dell'acqua e in alcuni prodotti al consumo), il TDA e il TDI (ammine aromatiche presenti nelle schiume di poliuretano non curate o appena prodotte, nei prodotti sigillanti, negli isolanti spray, nei prodotti per le coperture e in alcune protesi per il seno), leammine aromatiche presenti nelle tinture per capelli e in quelle per i tessuti e che sono utilizzate per produrre vernici, inchiostri per la stampa, nell'industria alimentare e negli schermi a cristalli liquidi, il benzene (benzina, scarichi dei veicoli, fumo del tabacco, solventi), i solventi organici come il cloruro di metilene (utilizzato per lavare a secco, negli scioglimacchia, nelle colle e negli sgrassanti, nei prodotti per rimuovere le vernici, nei gas in aerosol spray e che a volte contaminano l'acqua potabile), l'ossido di etilene e di propilene (fumo di tabacco, processi di sterilizzazione alimentare e medicale, gas di scarico dei veicoli, vernici), le sostanze ignifughe e i prodotti della loro degradazione, le ammine eterocicliche che si formano durante la cottura della carne alla griglia, gli ormoni e gliinterferenti endocrini, l'MX utilizzato per disinfettare l'acqua, gli idrocarburi policiclici aromatici nitrati (nitro-IPA, presenti nei fumi di scarico dei diesel), l'ocratossina A (micotossina che si può trovarenei cereali, nelle noci, nella carne di maiale e in presenza di muffe), gli idrocarburi policiclici aromatici (gas di scarico, fumo di tabacco, cibo bruciato), l'acido perfluoroottanoico (PFOA, presente nei rivestimenti impermeabili all'acqua e al grasso e antimacchia e che può contaminare l'acqua), diversi farmaci di tipo non-ormonale (inclusi medicinali acquistabili senza ricetta medica e farmaci ad uso veterinario) e lo stirene (materiali in polistirene – inclusi imballaggi per cibo – aria condizionata, fumo di sigaretta).

Per arrivare alla definizione di questa lista gli scienziati hanno dapprima identificato le 216 sostanze che sono state associate allo sviluppo di tumori alla mammella nei roditori. Fra queste sono state selezionate le 102 cui le donne sono più facilmente esposte, la cui cancerogenicità nell'uomo è stata confermata valutando i risultati di studi presenti nella letteratura scientifica. Valutando le ricerche in cui sono stati misurati i livelli di queste sostanze o dei loro metaboliti nel sangue, nelle urine o in altri campioni biologici umani gli scienziati hanno infine determinato il metodo migliore per valutare l'esposizione a queste sostanze cancerogene.

“Queste informazioni guideranno gli sforzi per ridurre l'esposizione ai composti chimici associati al cancro al seno e aiutare i ricercatori a studiare come colpisce le donne”, ha commentato Ruthann Rudel, primo nome dello studio. Julia Brody, responsabile della ricerca, ha aggiunto che “ridurre l'esposizione alle sostanze chimiche potrebbe salvare la vita di molte, molte donne”.

mercoledì 25 giugno 2014

Marmellata bio ritirata in Giappone. I prodotti Rigoni di Asiago sono radioattivi?

La confettura biologica italiana è radioattiva? Secondo il distretto Shibuya-ku di Tokyo sì, tanto che il 18 ottobre qui è stato revocato all'importatore MIE PROJECT l'ordine di 5.184 barattoli di confettura di mirtillo bio con scadenza anteriore al 17 ottobre 2015.Come riporta un avviso del Comune di Tokyo, infatti, nel corso delle rilevazioni delle autorità sanitarie locali, è emersa la presenza di Cesio 137 pari a 140 becquerel (Bq) al chilogrammonelle confezioni di marmellata biologica "Fiordifrutta" ai mirtilli neri prodotte dalla Rigoni di Asiago e importate dalla Mie Project. Tutto parte da un'indagine autonoma condotta dal giornale giapponese Shukan Asahi.
Per la rivista, i mirtilli analizzati, che sono, come è noto, di provenienza bulgara, presentano valori leggermente più alti rispetto a quelli emersi successivamente dalle analisi ufficiali, ovvero 164Bq/kg di cesio-137. E si tratterebbe di una contaminazione all'incedente di Chernobyl del 1986. Sulle 70 tipologie di alimenti analizzati, compresi vino e pasta, sono stati riscontrati da Shukan Asahi livelli di 300 becquerel sono stati trovati anche in una partita di funghi secchi.
Questo perché, si legge nelle raccomandazioni della Commissione della Comunità europea del 1 aprile 2003 "sulla protezione e l'informazione del pubblico per quanto riguarda l'esposizione risultante dalla continua contaminazione radioattiva da cesio di taluni prodotti di raccolta spontanei a seguito dell'incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl"proprio bacche e funghi, insieme agli animali selvatici (vedi il caso dei cinghiali radioattivi della Val Sesia) tendono a trattenere il cesio radioattivo in uno scambio ciclico tra gli strati superiori del suolo (strame), batteri, microfauna, microflora e vegetazione.
Non a caso, bacche selvatiche quali mirtilli neri, bacche di rovo, mirtilli rossi, lamponi, more di rovo e fragole selvatiche, varie specie di funghi selvatici commestibili e carne di selvaggina in alcune regioni dell'Unione europea continuano a registrare livelli di cesio radioattivo che superano i 600 Bq/kg.

L'Associazione di Volontariato Mondo in Cammino, alla luce di questa vicenda, mette in guardia:
"questo riscontro pone degli inquietanti interrogativi sulla circolazione degli alimenti radioattivi nella Comunità Europea e, ancor di più, a livello intercontinentale. Il paradosso è che mentre ci preoccupiamo della eventuale provenienza di pesce contaminato dall'Oceano Pacifico giapponese sulle nostre tavole, una contaminazione supplementare va invece ad aggravare la situazione radioecologica dei cittadini giapponesi nel campo della catena alimentare".
In realtà, per capire se la contaminazione alimentare finita sotto i riflettori del Giappone sia riferita a fallout pregressi o più recenti, senza ricondurla superficialmente o frettolosamente a Chernobyl, bisognerebbe ora analizzare il rateo fra Cesio 137 e Cesio 134, continua l'associazione, ribadendo di non voler fare nessun terorrismo psicologico. Intanto, però, sui social è panico e sulle bacheche si moltiplicano post inquietanti1. Alcuni lasciano intendere che i prodotti biologici siano tutti radioattivi.
L'azienda, dal canto suo, invita a tornare con i piedi per terra e spiega che il problema nasce dalla modifica, da parte del Giappone, dei limiti ammessi per il contenuto di cesio negli alimenti. Limite recentemente diventato ancor più cautelativo. Tanto per capire l'entità dell'asticella posta dal paese asiatico, fissata a 100 Bq/kg contro il precedente 500 Bq/kg, basterà ricordare che nell'Unione Europea si ammettono 1250 Bq/kg, mentre negli Stati Uniti 1200. Il lotto in questione, poi, che è tuttora sotto analisi, si trovava nel deposito in Giappone da più di un anno.
Che cosa è successo, quindi, esattamente in Giappone?
"I fatti sono questi: in Giappone una rivista ha commissionato un'analisi su diversi prodotti, tra cui anche i nostri. In uno dei tanti lotti della nostra confettura analizzati è stata riscontrata una radioattività superiore a quella concessa attualmente in Giappone.In questa vicenda siamo scagionati dal nostro distributore, che non ci ha comunicato i nuovi limiti. In pratica, il problema sollevato circa la radioattività rilevata riguarda direttamente l'abbassamento dei limiti dei prodotti europei venduti in Giappone. Tutto questo, per farla breve, non sarebbe successo se Mie Project ci avesse informato, mentre il nostro prodotto resta a norma per tutti i Paesi del mondo. La frutta impiegata per Fiordifrutta proviene da filiera controllata e su di essa si svolgono costantemente analisi di qualità interne e attività di vigilanza da parte di Autorità. Durante le analisi non si sono mai verificate non conformità", spiega Andrea Rigoni, amministratore delegato della Rigoni di Asiago spa, a GreenMe.it.
Per l'A.D. la questione è chiara come il sole: il vero problema si nasconde dietro una tacita (ma nemmeno troppo) guerra commerciale che si è aperta tra Europa e Giappone da quando, dopo Fukushima, l'Ue ha deciso di controllare i prodotti nipponici. L'allerta sui frutti di bosco radioattivi di Rigoni di Asiago, quindi, sarebbe ingiustificato.
"Questa è una notizia che crea un allarme inutile, dal momento che le quantità di radioattività sono minime e che, comunque, non hanno niente a che fare con la nostra azienda o con la nostra professionalità. O le autorità europee non si sono mai preoccupate della nostra salute, o i livelli di contaminazioni in questione non sono poi così rilevanti. Dal mio punto di vista si tratta di una vera e propria guerra commerciale, che ha preso come pretesto, in questo caso, un nostro prodotto", ci ribadisce Rigoni.
Quali sono quindi i rischi per i consumatori italiani? E' proprio perché i livelli di contaminazione rilevati sarebbero bassissimi che non ci sarebbe nessun rischio, secondo l'A.D.: tutti i mirtilli selvatici dell'azienda venduti in Italia sono controllati e certificati, anche se arrivano a loro volta dalla Bulgaria o da altri Paesi dell'est, perché nel nostro Paese questo tipo di produzione è insufficiente per coprire il mercato.
"Sulla provenienza dei nostri mirtilli siamo sempre stati trasparenti, l'abbiamo sempre comunicata e il fatto che la raccolta avvenga in Romania non è un gran scoop, anche perché da qui viene gran parte dei frutti di bosco selvatici venduti in Italia. La nostra scelta delle aree di raccolta viene fatta con molta accuratezza. Selezioniamo solo zone di montagna certificate biologiche più pulite. Questo perché il mirtillo di montagna ad altezze superiori a livello del mare contiene molte più sostanze antiossidanti. Inoltre, i nostri mirtilli vengono lavorati direttamente sul posto, in modo da garantire freschezza e tracciabilità del prodotto. Nel giro di appena due giorni sono già surgelati", conclude Arrigoni, dicendosi certo che i suoi consumatori continueranno a comprare le marmellate "Fiordifrutta" per la loro qualità e le loro proprietà organolettiche.
Mondo in Cammino sottolinea comunque "la necessità di prevedere a livello preventivo e legislativo una modifica o integrazione di quanto finora previsto e/o esercitato nel campo della normativa sulla radiocontaminazione alimentare, in quanto non è garanzia per la salute dei cittadini il riscontro di livelli di radioattività "di norma" nei vari singoli alimenti eventualmente controllati, perché questo dato "singolo" non può tenere conto dell'effetto cumulativo e "oltre soglia" causato da eventuali altri prodotti alimentari "contaminati" rientranti in un qualsiasi regime alimentare e, soprattutto, non può parametrare - negli indici di soglia massima assunti dalle varie legislazioni - l'effetto cronico delle basse dosi di radiazioni ingurgitate nel tempo". Il problema, quindi, non riguarda tanto le marmellate in questione, quanto tutti i cibi che ingeriamo, che potenzialmente potrebbero essere radioattivi. Solo che sotto la soglia europea.

Ogm e cancro: ripubblicato lo studio shock sul mais Monsanto

Le ricerche condotte dagli scienziati francesi sulla tossicità degli Ogm riusciranno ad intimorire lemultinazionali biotech? Il controverso studio francese svolto sotto la guida di Seralini è statoripubblicato. Al centro di esso troviamo il possibile legame tra mais Ogm, esposizione agli erbicidi e rischio di cancro.Lo studio di Seralini era stato ritirato a dicembre 2013 dalla stessa rivista scientifica che lo aveva pubblicato inizialmente: Food and Chemical Toxicology. Ma gli scienziati francesi sono tornati all'attacco e hanno deciso di ripubblicare il proprio lavoro online. Lo studio ora compare sulla rivistaEnvironmental Sciences Europe del gruppo tedesco Springer.
I ricercatori francesi negano le accuse che li hanno travolti nel corso degli ultimi due anni e i dati raccolti ora sono di dominio pubblico, in modo che altri possano esaminarli. A loro parere, si è trattato di un vero e proprio episodio di censura, che non fa altro che minare il valore e la credibilità della scienza riguardo un argomento così delicato e rischioso come il legame tra tecnologia e sicurezza alimentare.
Quando lo studio shock fu pubblicato per la prima volta, a settembre 2012, diede vita ad unacceso dibattito sugli Ogm. I suoi autori, guidati da Gilles-Eric-Seralini, professore dell'Università di Caen, in Normandia, sostengono che i ratti esposti al mais Ogm NK603 di Monsanto e all'erbicida Roundup, a base di glifosato, hanno sviluppato tumori alle ghiandole mammarie e malattie del fegato e dei reni.
Già nel 2012 altri scienziati avevano sostenuto che lo studio fosse viziato e il loro parere non sarebbe cambiato con la sua ripubblicazione. Il mais Monsanto NK603 è stato progettato per risultare immune al diserbante Roundup allo scopo di consentire agli agricoltori di eliminare le erbacce applicando tale prodotto senza danneggiare i raccolti.
Secondo i ricercatori francesi, l'erbicida Roundup e gli Ogm resistenti ad esso devono essere considerati degli interferenti ormonali. Inoltre, a loro parere, le valutazioni scientifiche attuali per quanto riguarda Ogm e salute risultano estremamente carenti.
La nuova pubblicazione dello studio permette che la scienza possa reclamare i propri diritti contro le pressioni delle multinazionali del settore, che cercano di reprimere i pareri contrari agli Ogm. A difesa del loro studio, gli scienziati francesi hanno dichiarato che si trattava del primo ad essere condotto su roditori da laboratorio per una durata pari a 2 anni, anziché ai soliti 90 giorni. L'obiettivo degli scienziati era però proprio quello di valutare la tossicità del Roundup e del mais Ogm a lungo termine.
Hanno inoltre sottolineato che lo studio è stato progettato per testare la tossicità di mais Ogm e erbicida Roundup, piuttosto che per individuare le cause del cancro. Coloro che criticano la ricerca sostengono che il numero di ratti esaminati risultava troppo esiguo e che la loro dieta è stata modificata rispetto all'assunzione di cibo naturale.
Inoltre, sarebbero stati utilizzati ratti molto inclini a sviluppare tumori, soprattutto in età avanzata. Seralini aveva già ribattuto in precedenza a questa critica, sottolineando di aver selezionato proprio lo stesso tipo di ratti scelti da Monsanto per testare e garantire la sicurezza dei propri prodotti Ogm.
Nonostante ciò, le critiche continuano e puntano soprattutto al fatto che la ripubblicazione dello studio su una rivista open source non ne confermerebbe la validità scientifica. Si tratta di un argomento molto delicato e saranno di certo necessarie ulteriori ricerche per individuare eventuali effetti negativi degli Ogm sulla salute, ma lo studio di Seralini merita comunque di essere riconsiderato e semmai contestato non soltanto a parole, ma con nuove prove scientifiche.
Consulta qui lo studio "Long-term toxicity of a Roundup herbicide and a Roundup-tolerant genetically modified maize".

Nel fiore del tabacco la molecola che uccide le cellule tumorali

Rompe le membrane delle cellule tumorali, causando la morte di queste ultime


Dietro ai naturali meccanismi di difesa di una pianta di tabacco potrebbe nascondersi un'arma in grado di uccidere le cellule tumorali nel corpo umano: la scoperta è stata effettuata da un gruppo di studiosi australiani della La Trobe University che hanno dimostrato che, nel fiore della pianta, è presente una molecola in grado di proteggere la pianta stessa dalle infezioni provocate da funghi e batteri e l'organismo umano dai tumori.

La molecola, nota con la sigla NaD1, agisce formando una struttura a tenaglia che, stringendo i lipidi presenti sulla membrana delle cellule tumorali, provoca l'apertura della membrana stessa e la fuoriuscita del contenuto della cellula, causando la morte di quest'ultima. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista eLife. "C'è dell'ironia nel fatto che un potente meccanismo anticancro derivi dal fiore di una varietà di tabacco ornamentale, ma una scoperta come questa è benvenuta, qualunque sia l'origine", spiega Mark Hulett, coordinatore dello studio.

Gli studi, condotti finora in laboratorio, hanno dato risultati promettenti e fanno ben sperare "che questa scoperta si traduca in futuro in un uso terapeutico per l'uomo", continua lo studioso. "Uno dei maggiori problemi con le attuali terapie anticancro è che l'effetto del trattamento è indiscriminato, perché i farmaci agiscono sia sui tessuti malati che su quelli sani. Al contrario, abbiamo rilevato che NaD1 colpisce le cellule tumorali, con nessuna o poche ripercussioni su quelle sane". Il prossimo passo sarà, conclude Hulett, "determinare quale ruolo NaD1 potrebbe essere in grado di giocare nel trattamento del cancro nell'organismo umano".

Scoperti geni legati a morte cardiaca improvvisa

 Un gruppo di scienziati americani
ha scoperto alcuni geni associati a un fattore di rischio per
la morte cardiaca improvvisa. Lo studio e’ stato pubblicato
sulla rivista ‘Nature Genetics’. Questi geni evidenziano un
ruolo importante per la regolazione del calcio nel controllo
della funzione cardiaca e potrebbero aiutare a sviluppare nuove
terapie.
Da tempo la lunghezza di intervallo di tempo tra due punti
chiave nel ciclo elettrico cardiaco, noto come l’intervallo QT,
viene utilizzato dai medici per determinare il rischio di
aritmie e di morte cardiaca improvvisa. La lunghezza
dell’intervallo QT, che va da circa 0,36 secondi a 0,44 secondi
negli adulti sani, e’ in gran parte determinato dai propri
geni. Christopher Newton-Cheh e colleghi del Massachusetts
General Hospital, Boston, hanno studiato oltre 100mila persone
alla ricerca di geni associati con un intervallo QT lungo. Gli
scienziati hanno scoperto dieci geni le cui proteine prodotte a
a interagiscono con i geni che causano la sindrome del QT
lungo, una malattia cardiaca spesso fatale. Inoltre, gli
studiosi hanno scoperto che questi geni sono cruciali per
regolare la corrente elettrica cardiaca mediante il controllo
del calcio. Le interruzioni del segnale del calcio sono note
per essere coinvolti in altre forme di malattie cardiache.

lunedì 23 giugno 2014

Mucca pazza: ricercatori italiani identificano molecola chiave

Scoperta la molecola che gioca un
ruolo chiave nella trasmissione e nella manifestazione di
malattie neurodegenerative come l morbo di Creutzfeldt-Jakob
(comunemente noto come “morbo della mucca pazza”) e la sindrome
dell’insonnia fatale. A scoprirlo uno gruppo di ricercatori del
Dipartimento di Scienze della Salute dell’Universita’ di
Milano-Bicocca in collaborazione con l’IRCCS-Istituto di
Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano e il Dipartimento
di Scienze Biomediche dell’Universita’ di Padova che hanno
pubblicato i risultati delle loro ricerche sulla rivista PLoS
One. La molecola in questione e’ il glicolipide GM1, un grasso,
e secondo i ricercatori gioca un ruolo fondamentale
nell’aumentare la probabilita’ che la proteina prionica nativa
(sana) assuma conformazioni alterate irreversibili che causano
malattie neurodegenerative. In pratica si e’ osservato che
questo tipo di malattie e’ causato da proteine prioniche con
strutture diverse da quelle sane, in pratica da proteine
ripiegate in modo errato. In questa conversione la presenza dei
lipidi gioca un ruolo chiave. I ricercatori, sfruttando
sofisticate tecniche di analisi hanno osservato che proprio il
glicolieide GM1 facilita questo errato ripiegamento della
proteina prionica, e, in definitiva, scatena la malattia.
”All’inizio di questo lavoro – spiega Paola Palestini,
professore associato di Biochimica nell’Universita’ di
Milano-Bicocca e coordinatore della ricerca – avevamo molti
indizi sul ruolo del glicolipide GM1, ottenuti con tecniche di
microscopia confocale e immunoanalisi. Ora, sappiamo che il
GM1, interagendo con il prione sano, fa aumentare la
probabilita’ di trasformazione in forma “tossica” nel caso di
infezione con la proteina prionica”.

Fonte

domenica 22 giugno 2014

Pranzi da spiaggia, i consigli dei Masterchef più rinomati d’Italia

Pomodori, fiori di zucca e verdure di stagione, insieme a pasta fredda, pesce e frutta, sono gli ingredienti ideali con cui è possibile preparare gustosi pranzi in spiaggia. Direttamente dalle più rinomate località balneari dello Stivale, gli chef stellati lanciano le ‘SchiChic on the beach’ all’insegna della semplicità, leggerezza e gusto
Altro che parmigiana, pasta al forno e il classico panino con la cotoletta. Insalata di riso con verdure di stagione, pasta fredda alla crudaiola con carciofi, fiori di zucca realizzati con ortaggi, accompagnati da ingredienti leggeri e salutari come pomodoro, basilico, mozzarella e sottaceti, sono le pietanze che secondo 7 masterchef su 10 non possono mancare durante il pranzo in spiaggia delle famiglie italiane che in questo periodo dell’anno prendono d’assalto le località balneari.
Piatti leggeri, freschi, semplici ma gustosi che richiamano i sapori della tradizione, facili da preparare e realizzati con prodotti di stagione. Come conservarli? Basta con contenitori d’alluminio o di plastica. Dalle scrivanie d’ufficio alle località balneari, oggi in spiaggia trionfa la Schichic, grazie a contenitori eleganti e fashion, belli da vedere e comodi da trasportare. Cosa contengono? Pietanze semplici, tradizionali, facili da preparare e che richiedono poco tempo, realizzati con prodotti di stagione. Gli ingredienti? Principalmente prodotti Made in Italy (51%), verdure (62%), pesce (45%), ingredienti principali di piatti che non richiedono una preparazione superiore ai 15 minuti (56%) e che siano emblema di leggerezza (45%) e gusto (32%).
E’ quanto emerge da uno studio promosso da “Polli Cooking Lab”, l’Osservatorio sulle tendenze alimentari dell’omonima azienda toscana, condotto attraverso interviste a 110 illustri chef nazionali per raccogliere i giusti consigli su cosa preparare da mangiare e portare con sé prima di andare in spiaggia.
Stop a cibi ipercalorici e poco pratici sia da realizzare, sia da consumare in spiaggia: grazie ai consigli degli esperti, è possibile realizzare pietanze leggere e gustose da portare con sé al mare. Secondo gli chef stellati per un corretto menù da spiaggia basta utilizzare ortaggi e verdure (62%), con cui condire soprattutto insalata di riso (67%) e pasta fredda (51%), colorate, gustose e da preparare in poco tempo. Quali caratteristiche devono avere questi prodotti? Secondo gli esperti per realizzare un piatto semplice occorre utilizzare alimenti italiani rigorosamente made in Italy (51%), leggeri (45%), freschi (42%) di facili da digerire (36%) e gustosi (32%).
Per trasportare in spiaggia queste gustose pietanze, gli chef dicono basta ai classici e grezzi contenitori d’alluminio. Oltre alle classiche ciotole di plastica, irrompono sulle spiagge d’Italia i “lunch box” portavivande multifunzioni dall’anima tecnologica, dal design curato e dal contenuto ricercato. Disponibili sia in legno sia in metallo. Perché? Gli chef consigliano questo tipo di contenitori perché sono garanzia di lunga conservazione (32%), pratici (25%) e, fattore da non sottovalutare, belli da vedere (18%). Oggi, dunque, in spiaggia sbarcano le ‘SchiChic on the beach’ all’insegna della semplicità, leggerezza e gusto. E per non commettere errori e passi falsi, i masterchef italiani e i nutrizionisti indicano le regole base per preparare una gustosa “SchiChic“ da spiaggia.

Alzheimer, arriva il test. Alkon: «Basta un prelievo di pelle»

Il prelievo di un piccolo frammento di pelle dal polso, la coltura del tessuto in laboratorio e poi la lettura del test. Per scoprire se l’Alzheimer ha cominciato o no a danneggiare il cervello. Un esame capace di permettere la diagnosi quando, della malattia, ci sono dei segnali. Dall’assenza della memoria recente, al disorientamento spaziale, alla perdita della capacità di giudizio fino al repentino cambiamento di umore. Il test è pronto (tutte sperimentazioni sono state superate), entro l’anno verrà utilizzato negli Stati Uniti. Dove è stato messo a punto.
Daniel Alkon, direttore scientifico del Blanchette Rockefeller Neurosciences Institute, università West Virginia, ha dedicato il suo lavoro di ricercatore agli imperscrutabili meccanismi della memoria. Al suo andare e venire, al suo sparire. Anche in età in cui la memoria dovrebbe essere intatta. Due i filoni della sua ricerca: uno, appunto, va verso il test per riconoscere preventivamente la malattia di Alzheimer e l’altro verso l’utilizzo di un farmaco che dovrebbe essere in grado di riattivare le comunicazioni (le sinapsi) tra i neuroni. «I risultati degli studi che seguiamo da anni mi permettono di dire che abbiamo buone notizie per tutte e due le branche».
Cominciamo dal test, potrebbe essere fatto a tutti arrivati ad una certa età?
«No, no. Chiariamo subito che il test, il primo messo a punto, sarà utilizzato per le persone che mostrano i primi sintomi dell’Alzheimer. Per ora è così, poi vedremo».
Sintomi in un’età preoccupante?
«L’Alzheimer mostra tutta la sua crudeltà in età avanzata ma i primi segni, quando si ricostruisce la storia del paziente, si ritrovano anche in qualche anno prima»
A che cosa si riferisce?
«Ai buchi della memoria recente, al senso di spaesamento continuo, a repentini cambi di umore, ad atteggiamenti aggressivi, sintomi paranoici, disorientamento».
Perché, per valutare se si è malati o no di Alzheimer, prendete una frammento di pelle?
«L’obiettivo è quello di verificare la quantità di una proteina, la PKC epsilon, presente sia nell’epidermide che nel cervello. Questa impedisce alla proteina tossica dell’Alzheimer di distruggere le connessioni tra le cellule nervose. Le sinapsi. E proprio la perdita di sinapsi nel cervello dei pazienti con Alzheimer è strettamente correlata con il grado di demenza».
E in laboratorio che ne fate del materiale prelevato dal polso?
«Il frammento di pelle viene messo in coltura. Dopo due settimane viene testato e letto con una tecnica che impiega quasi due ore. Se il dosaggio della proteina PKC epsilon risulta basso o i risultati della sua attivazione sono bassi vuol dire che il paziente ha il morbo di Alzheimer».
Quindi, quei sintomi che ha elencato, sono da attribuire ad altre malattie?
«Infatti. Il test può servire anche per escludere la malattia. A quel punto si va a cercare altrove la causa del danno alla memoria. Pensiamo ad un problema vascolare come ad un profondo stato depressivo. Ma è importante escludere la patologia più grave».
Quale decisione prende, a questo punto, un medico visto che non esiste una cura per il morbo di Alzheimer?
«Ora utilizza i farmaci che si hanno a disposizione per rallentare la patologia basati sulla presenza delle placche nel cervello. Ma può fare anche molto di più monitorando con ancora maggiore attenzione l’evolversi della degenerazioni. Noi, al Blanchette Rockefeller, abbiamo appena iniziato a sperimentare una nuova terapia. Che deriva proprio dalle ricerche sul ruolo critico della perdita delle sinapsi nell’insorgenza della demenza».
Ha avviato una sperimentazione con quale farmaco?
«Un nostro lavoro ha dimostrato che un proteina, la briostatina, è in grado di stimolare la produzione di proteine essenziali per la memoria a lungo termine. La briostatina è stata sviluppata inizialmente come farmaco contro i tumori, ma viene usata raramente».
Quindi, un medicinale nato per i tumori ora lo adottate contro l’Alzheimer?
«Due mesi fa ci è stato dato il via libera, lo stiamo sperimentando e i risultati sono soddisfacenti».
Può rivelare su quali pazienti state lavorando?
«Sì, su una donna di 38 anni…»

I broccoli contro lo smog: depurano dai cancerogeni

Per eliminare il benzene e l'acroleina respirati con l'aria inquinata basta bere una bevanda contenente polvere dei loro germogli


broccoli possono contribuire a proteggere la salute dagli effetti dannosi dell'inquinamento. A dimostrarlo è uno studio pubblicato su Cancer Prevention Research da un gruppo di ricercatori guidato da Patricia Egner della Johns Hopkins University, secondo cui bere quotidianamente mezza tazza di una bevanda a base di estratto di germogli di broccoli aumenta rapidamente i livelli di benzene e acroleina eliminati con le urine.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità l'inquinamento atmosferico è responsabile di 7 milioni di decessi all'anno in tutto il mondo. Non solo, lo scorso anno l'International Agency for Research on Cancer ha classificato l'inquinamento atmosferico e le particelle inquinanti come cancerogeni. Fra le sostanze pericolose sono incluse proprio il benzene presente nel gas di scarico dei veicoli e l'acroleina prodotta quando la temperatura dell'olio utilizzato per friggere supera il suo punto di fumo. I germogli di broccoli, al contrario, sono una fonte preziosa di molecole amiche della salute, prima fra tutte la glucorafanina. Questa, una volta ingerita, viene convertita in sulforafano. Secondo i ricercatori sarebbe proprio quest'ultimo a favorire l'eliminazione degli inquinanti atmosferici dannosi per l'organismo umano.

Egner e colleghi lo hanno scoperto coinvolgendo nelle loro ricerche 291 abitanti di una delle aree più inquinate della Cina. Nelle 12 settimane di studio alcuni dei partecipanti hanno bevuto ogni giorno una bevanda a base di acqua distillata, succo d'ananas e succo di lime; gli altri hanno bevuto la stessa bevanda addizionata di una polvere di germogli di broccoli contenente 600 µmol di glucorafanina e 40 µmol di sulforafano. Misurando i livelli degli inquinanti nel sangue e nelle urine dei partecipanti è stato scoperto che già dal primo giorno di assunzione la bevanda a base di broccoli aumenta del 61% l'eliminazione del benzene attraverso le urine, continuando a farlo per le restanti 12 settimane. L'aumento dell'escrezione di acroleina si assesta invece al 23%. Ulteriori analisi hanno svelato che il sulforafano potrebbe agire attivando NRF2, una molecola che aumenta la capacità delle cellule di adattarsi e sopravvivere alla presenza di un'ampia gamma di tossine.

“Questo studio indica un mezzo economico, semplice e sicuro che può essere sfruttato dalle persone per provare a ridurre alcuni dei rischi a lungo termine associati all'inquinamento dell'aria”, commenta Thomas Kensler, coautore dello studio. Ma c'è di più. Infatti secondo i ricercatori i meccanismi attivati dai principi attivi dei broccoli potrebbero aiutare ad eliminare alcuni inquinanti presenti dell'acqua e nel cibo.

venerdì 20 giugno 2014

Mal di cuore e stress se il capo è prepotente

Si dice che il lavoro allontani tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno. Ma attenzione, lavorare con un capo arrogante e prepotente potrebbe al contrario "avvicinare" i problemi di salute. A dirlo è uno studio svedese pubblicato sulla rivista Occupational and Environmental Medicine, che ha rilevato come fare i conti tutto il giorno con un capo ritenuto incapace e incompetente possa addirittura aumentare il rischio di malattie cardiovascolari tra i dipendenti. 
Sentirsi sottovalutati e poco gratificati nell`ambiente lavorativo porta, spiegano i ricercatori, a stati di stress e ansia che possono provocare l`aumento della pressione arteriosa e favorire comportamenti poco salutari come fumo, alimentazione scorretta, abuso di alcolici e scarso esercizio fisico. Fattori che, come si sa, vanno a braccetto con i problemi cardiovascolari. 
Ma come si è svolta la ricerca? Gli scienziati del Karolinska Institutet e dell`Università di Stoccolma hanno dapprima monitorato per circa un decennio la salute di oltre 3 mila lavoratori svedesi maschi di età compresa tra i 19 e i 70 anni, individuando tra questi ben 74 casi di attacchi cardiaci. Quando poi hanno chiesto a tutti i partecipanti alla ricerca di dare un giudizio sul loro capo, è emersa con sorpresa la stretta correlazione tra le scarse doti di leadership del capo e il maggiore rischio di infarto. 
Fra i dipendenti che giudicavano il capo di riferimento incapace di dare le giuste direttive allo staff o di non riuscire a comunicare con i lavoratori, il rischio di ammalarsi di malattie cardiache aumentava infatti del 25% rispetto ai colleghi più fortunati. Rischio che cresceva fino al 68% per quelli che lavoravano da oltre quattro anni alle dipendenze di boss arroganti e incompetenti.
I ricercatori sostengono che, data la correlazione emersa dallo studio, il comportamento dei manager dovrebbe essere modificato in modo da evitare il rischio di serie malattie cardiache tra i lavoratori. Come? I capi, suggeriscono gli scienziati, dovrebbero fornire ai propri dipendenti obiettivi di lavoro chiari e sufficiente potere decisionale in base alle loro responsabilità.   
“Questo studio - commenta Cathy Ross, della British Hearth Foundation - suggerisce che una relazione buona e trasparente con il capo possa aiutare a difendersi dalle malattie cardiovascolari. Sentirsi sottostimato e non sostenuto può causare stress, e questo spesso porta a cattive abitudini rischiose per la salute”. “Sentirsi attivi e gratificati - conclude la Ross – può regalare un doppio beneficio: contrastare lo stress da lavoro e migliorare la salute del cuore”.

Fonte

Insalata con olio d'oliva: la ricetta che allunga la vita

I nitro-fatty acids abbassano la pressione sanguigna e migliorano la salute del cuore


Il segreto è nascosto nei nitrati derivati dagli acidi grassi insaturi (noti in inglese come "nitrated derivatived of insatured fatty acids" o "nitro-fatty acids"): è grazie a questi particolari elementi che la dieta mediterranea è in grado di tenere sotto controllo la pressione sanguigna e, di conseguenza, di preservare la salute del cuore. A sostenerlo è uno studio pubblicato suPnas da un gruppo di ricercatori anglo-statunitense secondo cui questi particolari composti si formerebbero dall'interazione tra i grassi insaturi presenti nell'olio di oliva e i nitrati e i nitriti contenuti nell'insalata e nelle verdure a foglia verde. Sarebbe quindi la semplice e sana insalata a rappresentare l'elisir di lunga vita per il cuore.

Per giungere ai loro risultati gli studiosi del King College di Londra (Regno Unito) guidati da Philip Eaton, in collaborazione con i colleghi dellaUniversity of California (Usa) hanno utilizzato nei propri esperimenti un gruppo di topi. Dopo aver loro somministrato i nitrati derivati da acidi grassi insaturi, i ricercatori hanno potuto rilevare che questi composti sono in grado di bloccare nei topolini un enzima chiamato epossido idrolasi, e di riuscire di conseguenza a tenere sotto controllo la pressione sanguigna. "Dal momento che questo stesso enzima è presente anche negli uomini - spiega Eaton - pensiamo che lo stesso meccanismo possa essere innescato anche nell'organismo umano. Questo spiega perché la dieta mediterranea sia così salutare nonostante il suo contenuto di grassi". I

l prossimo passo sarà replicare gli stessi esperimenti sugli uomini: "Quello che abbiamo individuato è unmeccanismo di protezione naturale - conclude Eaton -. Se potessimo attingervi, forse riusciremmo a mettere a punto nuovi farmaci per il trattamento dell'ipertensione e per prevenire le malattie cardiache" .


giovedì 19 giugno 2014

Tonno in scatola: le etichette diventano un po' piu' trasparenti. Le pagelle di Greenpeace

Tonno in scatola, le etichette sono sempre più trasparenti grazie alla maggiore attenzione dei consumatori, che spinge le aziende a rendere più chiare le informazioni relative ai propri prodotti.Greenpeace negli ultimi anni ha monitorato le etichette del tonno in scatola e ora svela i nomi delle aziende che hanno fatto i maggiori progressi. 
Ai primi posti  tra i migliori troviamo Calvo/NostromoMareblu, Generale Conserve/As do Mar e Conad. Tra i marchipeggiori ecco Mare Aperto/STAR e Carrefour. E' rimasto invece invariato, ma comunque elevato, il livello di informazione per il tonno in scatola a marchio Coop e Esselunga.
I volontari di Greenpeace hanno esaminato 4095 confezioni di tonno in scatola provenienti da 14 aziende diverse, per un totale di 20 marchi presenti nei negozi di 21 città italiane. L'indagine ha valutato presenza o assenza delle informazioni necessarie ai consumatori per effettuare acquisti consapevoli. Non ha quindi valutati migliori troviamoCalvo/NostromoMareblu, Generale Conserve/As do Mar e Conad. Tra i marchipeggiori ecco Mare Aperto/STAR e Carrefour. E' rimasto invece invariato, ma comunque elevato, il livello di informazione per il tonno in scatola a marchio Coop e Esselunga.
I volontari di Greenpeace hanno esaminato 4095 confezioni di tonno in scatola provenienti da 14 aziende diverse, per un totale di 20 marchi presenti nei negozi di 21 città italiane. L'indagine ha valutato presenza o assenza delle informazioni necessarie ai consumatori per effettuare acquisti consapevoli. Non ha quindi valutato eventuali informazioni poste all'interno della confezione e inaccessibili al momento dell'acquisto.
Le informazioni oggetto dell'indagine riguardavano: nome comune della specie di tonno, nome scientifico, area di pesca (oceano di origine e specifica area FAO), metodo di pesca. Sono state prese in considerazione varie tipologie di prodotti (come tonno all'olio d'oliva, tonno al naturale, etc.), sia in lattina che in vasetti di vetro, mentre non sono stati oggetto di monitoraggio i prodotti trasformati quali sughi pronti, insalate o prodotti in tubetto.
Nella metà dei prodotti monitorati nel 2011 non veniva specificata la specie di tonno e solo il 7% delle etichette indicava l'area di pesca, mentre appena il 3% riportava l'area di pesca coinvolta. Nell'ultima indagine di Greenpeace sono emersi dei miglioramenti. Il nome comune e il nome scientifico della specie sono sempre più presenti. 11 marchi hanno migliorato le informazioni sull'area di pesca.
Uno dei problemi maggiori riguarda le informazioni sui metodi di pesca, che però hanno avuto un miglioramento netto per Calvo/Nostromo, Mare Blu e Generale Conserve/As do Mar. Ci sono progressi in tal senso anche per Coop, Mazzola/Maruzzella e per il marchio Moro di Icat Food.
Greenpeace ricorda che il tonno è a rischio non soltanto per la pesca eccessiva e troppo spesso illegale, ma soprattutto per i metodi di pesca utilizzati, tanto che ben 5 delle 8 specie di tonno di interesse commerciale sono in pericolo, compre il tonno pinna gialla, il più consumato in Italia.
Accade che spesso nelle scatolette finisce tonno pescato con metodi distruttivi, come i palamiti e le reti di circuizione con sistemi di aggregazione per pesci. Ogni anno, come ricorda Greenpeace,causano la morte di migliaia di esemplari giovani di tonno, squali, mante e tartarughe marine.
Tonno infografica
Greenpeace chiede dunque al settore conserviero di non utilizzare specie a rischio e di impegnarsi a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile, per esempio con amo e lenza o senza FAD. I risultati di questo monitoraggio, secondo Greenpeace, dimostrano che un cambiamento da parte delle aziende è possibile anche grazie alla crescente attenzione dei consumatori.