lunedì 28 dicembre 2015

Onicofagia, la brutta abitudine di rosicchiarsi le unghie



L’abitudine di rosicchiarsi le unghie ha un nome ben preciso: onicofagia. In generale si tratta di un comportamento inconscio, spesso sottovalutato. Tuttavia gli esperti vogliono evidenziare che molto si può nascondere dietro a questo gesto, e che può essere deleterio per la salute.
Tendenzialmente è presente durante l’infanzia e l’adolescenza, generata da tensioni interiori e inconsce che spingono la persona a portarsi la mano in bocca e a mangiare sia le unghie che le pellicine, facendo veri e propri danni alle dita. Nella maggior parte dei casi l’onicofagia scompare durante la crescita. Ma è riscontrabile anche in alcuni soggetti adulti.
L’onicofagia rientra fra i comportamenti compulsivi legati agli stati ansiogeni. La persona particolarmente ansiosa o stressata non riesce a fare a meno di rosicchiarsi le unghie, è un impulso a cui non sa resistere.
Occorre fare attenzione poiché le lacerazioni possono essere un potenziale canale di infezione, mentre a livello dei denti è possibile intaccare il loro smalto, creando terreno fertile per la carie.
Per molti mangiarsi le unghie è cosa da poco conto, rilegata solamente ad un fatto estetico, invece sarebbe opportuno indagare in maniera approfondita.
Qual è l’origine di questa cattiva abitudine?
Tendenzialmente è un comportamento di natura psicologica. Che rapporto abbiamo con l’ansia? Stiamo vivendo un periodo particolarmente stressante? C’è una situazione che crea tensione e non riusciamo a liberarcene? Ci sono dei cambiamenti che dobbiamo affrontare? Questi e molti altri sono gli interrogativi che dobbiamo porci e se non riusciamo da soli, facciamo riferimento al medico di famiglia, che saprà indicarci la soluzione migliore.
All’origine è possibile trovare: nervosismo, preoccupazione, rabbia, aggressività, autolesionismo (soprattutto nel periodo adolescenziale), noia (molte persone quando guardano distrattamente la tv si mangiano le unghie), timidezza, ansia, stress. Il bambino può imparare imitando l’adulto.

Quelle piccole ulcere molto dolorose, le afte




Le afte sono ulcere, molto dolorose, che si formano sulla mucosa della bocca, in particolare sulle gengive, sul palato, sopra o sotto la lingua, o sul lato interno delle guance. Talvolta, il bruciore limita la masticazione. L’intensità del dolore è accentuata quando l’afta viene a contatto con sostanze acide, come ad esempio aceto o succo di limone.
Generalmente si presentano come piccole escoriazioni, di forma rotonda o ovale, ricoperte da una patina giallastra e con i margini arrossati. Le cause della formazione delle afte non è ancora del tutto nota; tuttavia possono essere associate ad eccessi alimentari (noci, cioccolato, kiwi, ananas, fragole, ecc.), a disturbi della digestione, a carenze alimentari (ferro, vitamina B12, acido folico), a squilibri immunologici (quando si è troppo stressati), a cambiamenti ormonali, a carie dentaria, a lesioni provocate dallo spazzolamento dei denti (setole troppo dure dello spazzolino) .
Generalmente la persistenza delle afte è circoscritta a pochi giorni. La scelta del trattamento terapeutico dipende da vari fattori: dal numero, dalle dimensioni e dalle recidive.
Per lenire il dolore e velocizzare la guarigione, sono consigliati sciacqui con collutori oppure tintura di iodio; se sono posizionate in punti facilmente raggiungibili, si possono disinfettare con del cotone imbevuto di gel antisettici.
Oltre ad una terapia locale, è necessario adottare una corretta igiene orale, nonché l’eliminazione di alimenti irritanti e l’integrazione di cibi ricchi di vitamina B12, E, A, elementi utili per la prevenzione delle afte.
In caso di recidive o difficile trattamento è consigliabile rivolgersi al medico di famiglia.

martedì 22 dicembre 2015

Sigarette elettroniche, generano dipendenza da nicotina




Uno studio italiano certifica gli effetti negativi dei vapori contenenti nicotina

Anche le sigarette elettroniche creano dipendenza, almeno nel caso in cui nel loro vapore è presente nicotina. A certificarlo sono gli studi condotti sui topi da un gruppo di ricercatori dell’In-Cnr (l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche) e dell’Università degli Studi di Milano,pubblicati su European Neuropsychopharmacology. Come spiega infatti Mariaelvina Sala, coautrice delle ricerche, “i dati indicano che la sigaretta elettronica non è innocua, che dà una forte dipendenza e che possiede un effetto ansiogeno rilevante”.

Sala e colleghi hanno esposto gli animali a quantità di nicotina simili a quelle che un fumatore assume nell’arco di 2 mesi; mentre, però, un gruppo di topi è stato esposto al fumo di tabacco, l’altro è stato esposto alla nicotina presente nei vapori delle sigarette elettroniche. “I due trattamenti - spiega Sala - sono confrontabili tra di loro, sia per quanto riguarda l’assunzione di nicotina sia per il grado di dipendenza che generano”. Le analisi hanno però rilevato anche delle differenze, in particolare, prosegue Sala, “i test comportamentali indicano che l’astinenza acuta da sospensione di sigaretta elettronica è minore rispetto a quella indotta dal fumo ‘normale’, come pure il deficit cognitivo”. Da altri punti di vista il vapore delle e-cig è invece risultato associato ad effetti peggiori, in particolare, la ricercatrice evidenzia il “maggior aumento dell’ansia e dei comportamenti compulsivi nel caso di sospensione del vapore di sigaretta elettronica, osservabile anche dopo lungo tempo dall’interruzione. Questo - spiega Sala - indica che nel fumo di tabacco e nel vapore di sigaretta elettronica sono presenti, oltre alla nicotina, composti finora non identificati che possono provocare queste diverse risposte”.

Secondo Cecilia Gotti, coordinatrice delle ricerche, non bisogna dimenticare nemmeno gli altri effetti negativi della nicotina, in particolare quelli esercitati sullo sviluppo del sistema nervoso. “Un trattamento involontario del feto, del neonato e del bambino con vapori di nicotina ritenuti innocui potrebbe avere conseguenze importanti nel comportamento da adulti - ricorda la ricercatrice - Non va poi dimenticata l’azione pro-tumorale svolta dalla nicotina e i suoi metaboliti attraverso la liberazione di fattori infiammatori, stimolanti la crescita di cellule tumorali e la sua tossicità cutanea e gastrointestinale”.



“Il fatto che il fumo di sigaretta e il vapori di e-cig abbiano effetti associati alla dipendenza parzialmente differenti indica che a contribuire alla dipendenza da tabacco sono anche composti diversi dalla nicotina”, concludono i ricercatori nel loro studio. Non solo, alla luce dei risultati ottenuti gli scienziati lanciano anche un suggerimento pratico: predisporre regole e controlli che accertino e codifichino le sostanze presenti nel vapore delle sigarette elettroniche, in modo tale che questi strumenti possano rappresentare davvero un’alternativa meno pericolosa al fumo di tabacco.


Cancro, comportamenti e fattori ambientali alla base del 70-90% dei casi



Solo il 10-30% dei tumori sarebbe dovuto a fattori casuali

La sfortuna non c'entra: il 70-90% dei casi di cancro dipende da fattori ambientali e dall'adozione di stili di vita errati. Ad affermarlo, in uno studio pubblicato sulla rivista Nature, sono i ricercatori della Stony Brook University di New York (Usa), coordinati da Yusuf A. Hannun, che dichiara: “Il nostro approccio fornisce un nuovo quadro di riferimento, che prende in esame fattori intrinseci ed estrinseci per quantificare i rischi di sviluppare il cancro nel corso della vita”.

Gli autori hanno smentito i risultati ottenuti da una ricerca precedente, condotta dagli esperti della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora (Usa) e pubblicata a gennaio su Science, secondo cui 2 tumori su 3 sarebbero provocati da fattori casuali. Sarebbero, quindi, dovuti alla “sfortuna”. In particolare, l'analisi aveva evidenziato che la maggior parte dei casi di cancro sarebbe il risultato di mutazioni accidentali avvenute durante la divisione delle cellule staminali.

Secondo gli studiosi newyorkesi, invece, il vizio del fumo, i comportamenti scorretti e l'esposizione a sostanze tossiche e radiazioni sarebbero i maggiori responsabili dell'insorgenza delle neoplasie. Per dimostrarlo, hanno esaminato l'influenza dei fattori interni ed esterni sullo sviluppo del cancro, utilizzando quattro approcci analitici differenti. In particolare, sono ricorsi a modelli computerizzati, dati anagrafici, analisi delle mutazioni cellulari ed esami genetici. 

Al termine dell'indagine, gli scienziati sono arrivati alla conclusione che, in realtà, la “sfortuna” sarebbe responsabile solo del 10-30% dei casi. Una percentuale compresa tra il 70 e il 90%, invece, sarebbe dovuta a cause esterne, come l'esposizione a sostanze nocive e gli stili di vita non salutari. 

domenica 13 dicembre 2015

Lo sapevi che è possibile smettere di fumare con le erbe e senza soffrire molto?





Molti provano a smettere di fumare ottenendo scarsi risultati e incentivando il vizio.La dipendenza da nicotina è complessa da eliminare,ma alcune erbe possono rendere questo percorso più lieve da sopportare.

Cominciamo col precisare che non solo le erbe sono efficienti contro la nicotina,ma anche alcune tecniche di rilassamento come l’agopuntura e la fitoterapia.s

Tecniche di disintossicazione dalla nicotina

Si può smettere di fumare in modo naturale, e quindi combattere la dipendenza da nicotina  disintossicandosi con una dieta ricca di frutta e verdura e spremute di agrumi. Ci si può aiutare con tisane disintossicanti a base di piante che drenano il fegato, i reni, ed il pancreasSi possono eliminare i radicali liberi con la Vitamina C, gli antiossidanti, si può ricorrere a piante sedative in caso di ansia, di fame nervosa, Rodiola e Glucomannano, in caso di di crisi da astinenza le piante utili sono il composto escolzia, il tiglio. La lecitina di soia è essenziale in quanto abbassa i livelli di colesterolo.E’ di primaria importanza fare una buona colazione, bere due bicchieri di acqua calda appena alzati, sono utili le seguenti erbe, a base di tarassaco, carciofo, bardana e fumaria, le quali sono piante disintossicanti per il fegato, reni, ed il pancreas. Per una maggiore azione depurativa e’ bene bere almeno 2 litri di liquidi a piccoli sorsi lontano dai pasti, preferendo tisane, spremute, pompelmi, arance, limoni. Passeggiare molto e fare esercizi di respirazione inspirando ed espirando profondamente al fine di far riprendere l’elasticità agli alveoli polmonari, la attività fisica e’ utile al cuore, ai polmoni, riattiva la circolazione sanguigna. Il tabacco distrugge la vitamina C, ed indebolisce le difese immunitarie, quindi i fumatori corrono più rischio degli altri di ammalarsi.

Erbe che aiutano a smettere di fumare :

IPERICO Sembra possa contribuire a superare l’ astinenza dal fumo con il suo effetto antidepressivo
VALERIANA Per la sua azione calmante pare in grado di contrastare lo stato di agitazione legato alla carenza di nicotina
PASSIFLORA Presa insieme con le precedenti erbe, potrebbe avere un effetto sulla dopamina, neurotrasmettitore del benessere
Preparato a base di iperico, valeriana e passiflora.Sfruttando l’ effetto antidepressivo dell’ iperico e la capacità di contrastare ansia e insonnia di valeriana e passiflora, il rimedio “verde” si è rivelato utile nei fumatori che non hanno avuto benefici da altri trattamenti o che non volevano o non potevano ricorrervi.
La lobelia è una pianta della famiglia delle campanulacee, originaria del sudamerica e oggi disponibile in tutto il globo. Produce delle sostanze che si legano ai recettori della nicotina e, di conseguenza, può aiutare a combattere i sintomi della dipendenza da fumo. Pur essendo fra gli ingredienti di alcuni prodotti commerciali per smettere di fumare, il suo carico potenzialmente tossico esclude il fai-da-te: le dosi devono essere stabilite da un medico esperto e bisogna teoricamente stare lontani dal sovradosaggio.
L’erba di San Giovanni, un ritrovato naturale solitamente impiegato come leggero aiuto nei casi di depressione, ha effetti anche sulla dipendenza da fumo. In uno studio condotto dalla Mayo Clinic con il supporto del National Cancer Institute degli Stati Uniti, a 24 pazienti è stata somministrata giornalmente l’erba di San Giovanni, in abbinato a consigli psicologici per il supporto alla dipendenza. Dopo 12 settimane, il 40% dei partecipanti al trial ha smesso di fumare.Da non assumere assolutamente con antidepressivi.
L’assunzione di ginseng può aiutare a regolare il livello di dopamina nell’organismo, sostituendosi di fatto alla sigaretta. Per questo motivo, può essere assunto senza troppe complicazioni – a eccezione dei casi di palese allergia – per coadiuvare il superamento della dipendenza.
Molto utile sembrerebbe anche la liquirizia, da assumere quando si sente la voglia di accendersi una sigaretta: il forte sapore e la persistenza del gusto in bocca aiuteranno a superare i momenti di crisi

Hai problemi di tiroide?




Spesso l’obesità dipende dal mal funzionamento della tiroide,ma anche l’essere troppo magri può dipendere da essa.Ecco l’esercizio tibetano per riattivarla.

Non sempre l’obesità dipende da una eccessiva e cattiva alimentazione, e non sempre l’essere troppo magri dipende da una scarsa alimentazione, a volte è la tiroide, più precisamente la ghiandola tiroidea è la causa di tutto.
Se questa ghiandola non funziona infatti si ha una rapido aumento o perdita del peso, e non sempre bastano diete o bombe vitaminiche per risolvere il problema, bisogna riattivarla.
Vi proponiamo di seguito un antico esercizio tibetano che potrebbe risolvere il problema nel modo più naturale possibile.
Questo famoso esercizio tibetano è davvero efficace per attivare e stimolare la tiroide.
Toccando la tiroide seguendo le istruzioni di questo esercizio, potremo aumentare il flusso sanguigno verso la ghiandola tiroidea, purificandola ed attivando quindi la perdita di peso.
Segui le istruzioni seguenti su come applicare questo efficace esercizio:
  1. Strofina bene le mani per riscaldale, poi poggiale sulla tiroide per almeno 10 secondi.
  2. Ingoia saliva per 3 volte. Se hai la bocca secca, prova a bere 3 piccoli sorsi d’acqua.
  3. Esala lentamente, inclinando la testa in avanti cercando di spingere il mento verso il petto. Mantieni questa posizione per 5 secondi, senza respirare.
  4. Ripeti l’ultimo movimento, spingendo il mento verso il petto. Una volta raggiunto il petto, girare lentamente la testa a destra e a sinistra.
  5. Ripeti tutti i movimenti fatti fin’ora, cercando di muovere la testa lentamente, rilassandoti.
Puoi effettuare questo esercizio stando seduto o in piedi. Fallo spesso per migliorare la salute generale della ghiandola tiroidea, ed attivare la perdita di peso.

sabato 12 dicembre 2015

Apprezzati per il gradevole sapore, i pistacchi




La coltivazione dei pistacchi è abbastanza diffusa in varie parti del mondo, in particolare dove sono presenti buone temperature medie annuali, infatti predilige i climi particolarmente caldi e asciutti.
E’ originaria dell’Asia Minore, li ritroviamo anche in Iran, Turchia, Grecia, Siria, Cina e in California. Nel nostro Paese sono famosi i pistacchi di Bronte, molto apprezzati per le dimensioni e per il meraviglioso sapore.
Il frutto è una drupa, delle dimensioni di un’oliva. Il seme, di colore verde, è racchiuso in un guscio. Infatti in commercio si possono trovare sia con che senza guscio, talvolta tostati e salati.
I pistacchi possono essere consumati come frutta secca, insieme a noci, arachidi, mandorle, oppure li troviamo anche sotto forma di granella, impiegati in pasticceria (dolci, creme e gelati). Sono utilizzati anche per aromatizzare i salumi, ad esempio la gustosa mortadella di Bologna. Ottimi ingredienti per condimenti di primi e secondi piatti, o salse.
Questi deliziosi frutti garantiscono un notevole apporto energetico. Sono poveri di sodio, ma ricchi di vitamina B6, rame, fosforo, potassio, ferro e manganese.  Contengono sostanze antiossidanti come la luteina, il beta-carotene e il gamma-tocoferolo. I lipidi che troviamo nei pistacchi sono di tipo polinsaturi, quindi aiutano a tenere sotto controllo il colesterolo. Ma come sempre, è bene non esagerare con le quantità.
Curiosità sui pistacchi? Sembra che, secondo alcuni studi scientifici, mangiare pistacchi faccia bene: alla salute del cuore; per tenere sotto controllo il peso corporeo; per contrastare alcuni disturbi sessuali, come ad esempio la disfunzione erettile.

Aglio: alimento e medicamento prezioso



Nel corso del tempo, la reputazione dell’aglio si è rafforzata sempre più. E’ considerato un prezioso farmaco naturale, grazie alle sue numerose e potenti proprietà.
Fosforo, zolfo, calcio, ferro, iodio e silicio, fanno dell’aglio un eccellente antibiotico naturale, con una spiccata azione battericida, in particolare contro lo stafilococco. E’ utile soprattutto nel decorso di malattie da raffreddamento e in caso di diarrea.
E’ utile all’organismo per proteggersi contro le malattie e le disfunzioni ghiandolari. E’ considerato un buon rimedio contro la tosse. Inoltre ostacola la formazione di prodotti di putrefazione nell’intestino. Svolge un’azione depurativa sul sangue, combatte l’arteriosclerosi, regola la pressione arteriosa.
Stimola la secrezione dei succhi gastrici e l’attività peristaltica. Ha proprietà digestive anche se non è tollerato da tutti gli stomaci. E’ tradizionalmente nota la sua azione vermifuga; è tonificante ed energetico per l’organismo in generale. La leggenda vuole che gli atleti dell’Antica Grecia, che partecipavano ai giochi olimpici, mangiassero uno spicchio d’aglio prima delle gare.
Attenzione! E’ controindicato per coloro che soffrono di gastrite e ulcere gastro-duodenali.
Come consumare l’aglio?
Questo meraviglioso alimento-medicamento è a nostra disposizione tutto l’anno. L’uso culinario dell’aglio conferisce alle pietanze un buon sapore. Ottimo per gli arrosti e gli stufati, aromatico nelle salse della pasta o nelle zuppe.
Per poter sfruttare completamente le sue proprietà è consigliato di mangiarlo crudo (ma il sapore è davvero molto forte) oppure di non cuocerlo troppo, metterlo all’inizio della cottura e toglierlo dopo pochi minuti, oppure alla fine. Buona indicazione è anche schiacciarlo con una forchetta direttamente nell’olio in modo da impedire l’evaporazione delle sostanze fosforate, che sono molto volatili.
Ottima la bruschetta, fresca, genuina e salutare! Strusciare l’aglio su una fetta di pane tostata, pomodori freschi a pezzetti, una spolverata di basilico tritato e un filo d’olio extra vergine d’oliva. Che bontà!
Oltre a tutte le buone caratteristiche, l’aglio ne ha una “poco gradita”: l’alito cattivo. Per riparare tale inconveniente si può mangiare una fogliolina di salvia, di menta, oppure semini di anice o un chicco di caffè.

Ictus, rischi ridotti grazie agli agrumi



Il rischio di ictus può essere considerevolmente ridotto grazie agli agrumi, ai kiwi, ai broccoli, papaia e alle fragole, insomma, grazie agli alimenti che contengono vitamina C. Lo conferma un nuovo studio francese

Il rischio di ictus può essere considerevolmente ridotto grazie agli agrumi, ai kiwi, ai broccoli, papaia e alle fragole, insomma, grazie agli alimenti che contengono vitamina C. A renderlo noto sarebbero stati i membri dell'Ospedale Universitario di Rennes in Francia, che attraverso una ricerca sarebbero giunti alla conclusione che assumere buone quantità di cibi che contengono vitamina C ridurrebbe appunto il rischio di ictus emorragico, e che al contrario, assumerne una quantità troppo bassa ne aumenterebbe invece il rischio
Già un ampio studio asvolto a livello europeo nel 2008 aveva confermato la correlazione tra la concentrazione di vitamina C e il rischio di ictus . A differenza del passato però, lo studio francese non si è concentrato solo sull'emorragia cerebrale, i medici d'oltralpe si sono occupati anche del rischio emorragico e dell'ictus ischemico. Più di 20.000 uomini e donne di età compresa tra 40 e i 79 anni sono stati seguiti per quasi dieci anni. La riduzione del rischio di ictus è aumentata del 42 % per quelli di loro che hanno assunto più vitamina C.

Per giungere a tale conclusione, gli esperti avrebbero preso in esame i dati relativi a un campione di 65 persone colpite o da un ictus emorragico intracerebrale oppure da una rottura dei vasi sanguigni all'interno del cervello. Tali dati sarebbero stati confrontati con quelli di 65 persone sane, e dalle analisi sarebbe emerso che nel 41% dei casi analizzati, i livelli di vitamina C sarebbero stati normali, mentre nel 45% sarebbero stati bassi, e nel 14% si sarebbe registrata una vera e propria carenza di vitamina C.

Ictus: antidolorifici insieme ad antidepressivi aumentano rischio




L'assunzione di aspirina, ibuprofene e altri popolari antidolorifici, accanto a quella di farmaci antidepressivi, può aumentare il rischio ictus, specialmente negli uomini

L'assunzione di aspirina, ibuprofene e altri popolari antidolorifici, accanto a quella di farmaci antidepressivi, può aumentare il rischio ictus, specialmente negli uomini. A lanciare l'avvertimento e' stato un gruppo di ricercatori del Korea Institute of Drug Safety in uno studio pubblicato sul British Medical Journal.

Per arrivare a queste conclusioni gli studiosi hanno analizzato i dati di 4 milioni di persone a cui sono state prescritte per la prima volta degli antidepressivi. Dai risultati e' emerso che coloro che, insieme agli antidepressivi, assumono anche farmaci antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti Fans, avevano un rischio quadruplicato di soffrire di emorragia intracranica, una delle cause principali di ictus. Gia' in passato la combinazione di questi farmaci e' stata associata ad emorragie nello stomaco.

"E' necessaria una particolare attenzione ai pazienti che usano entrambi questi farmaci insieme", hanno detto i ricercatori coreani. Specialmente perche', secondo gli scienziati, chi assume antidepressivi, magari a causa anche di una sofferenza cronica, tende ad assumere anche antidolorifici.

mercoledì 9 dicembre 2015

Latte: 10 dubbi, 10 risposte






Latte e latticini, tanto demonizzati quanto incompresi. Il parere della ricerca scientifica e la disinformazione, che può essere pericolosa come l’abuso di certi alimenti

Latte sì, latte no. Come spesso accade, quando si tratta di questioni alimentari che coinvolgono anche aspetti etici o credenze più o meno fondate, si alimentano – è proprio il caso di dirlo – anche le diatribe.
Ecco un decalogo con le argomentazioni più diffuse a favore e contro l’uso  di questo alimento di origine animale. Ma dove sta la verità? Nella maggioranza dei casi, e come sempre, nel mezzo.
1. È vero che bere il latte in età adulta è innaturale?«L’essere umano è l’unico animale che continua a bere latte anche dopo lo svezzamento», si sente dire spesso per  sottolineare che non bisognerebbe assumere latte. Si tratta invece di «un esempio importante di una mutazione vantaggiosa che si è presentata nel corso dell’evoluzione umana recente è la capacità di utilizzare il lattosio da adulti» secondo quanto affermato dal genetista dott. Luca Cavalli Sforza. Questo processo ha favorito l’adattamento delle popolazioni di pelle chiara, specie quelle dei Paesi nordici dove l’esposizione ai raggi solari – così preziosa per la sintesi della vitamina D – è ridotta. La capacità di digerire il latte anche da adulti ha dunque favorito l’approvvigionamento di vitamina D e di calcio in molte nazioni.
2. È vero che il consumo di latte può favorire le malattie cardiovascolari?
Il latte è un grasso animale e in quanto tale, secondo i suoi detrattori, favorirebbe  le malattie cardiovascolari. Lo studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition e condotto dai ricercatori olandesi della Wageningen University, mostra invece come bere latte riduca sia il rischio di ipertensione che di attacco cardiaco. Da tutto ciò se ne deduce che non sono i grassi animali in sé a essere pericolosi, ma l’abuso – come d’altronde può accadere per tutti i tipi di alimento, animale o vegetale che sia.
3. Il latte fa bene o fa male alle ossa?
Un’altra convinzione molto diffusa è quella secondo la quale il latte acidifica il sangue ed è anche causa di osteoporosi. Va sottolineato che introdurre una sostanza acida o basica non cambia il pH del sangue, che deve rimanere stabile a 7,4. Se questo non accadesse infatti moriremmo entro pochi minuti. Il nostro organismo è dotato di un sistema di equilibrio in grado di “trattare” le sostanze, sia acide che basiche, in modo da neutralizzarne l’ eventuale nocività. Se così non fosse un alimento realmente acido come il pomodoro sarebbe un serio pericolo per la nostra vita.
Altro argomento di sostegno alla dannosità del latte è che acidificando il corpo, quest’ultimo è costretto a tamponare prelevando il calcio dalle ossa indebolendole.  Le cause dell’osteoporosi sono invece da imputare a fattori ormonali, metabolici e a una carenza di calcio nella dieta. Uno studio del 2013 pubblicato sulla rivista Nutrients e condotto dai ricercatori polacchi del Dipartimento di Nutrizione Umana dell’Università di Warmia e Masuria ha inoltre messo in evidenza come latte e osteoporosi possano invece essere amici. Secondo i ricercatori infatti «il consumo di prodotti lattiero-caseari durante l’infanzia e l’adolescenza può migliorare la densità minerale ossea e ridurre il rischio di osteoporosi nelle donne adulte».  A sostegno di questa tesi anche lo studio pubblicato su Calcified Tissue International, in cui i ricercatori italiani dell’Istituto Gaetano Pini di Milano hanno trovato che «l’osteoporosi e l’ipertensione sono associate nelle donne in post-menopausa, e una bassa assunzione di latte può aumentare il rischio di entrambe le malattie, in qualità di un possibile collegamento patogeno». Si sente spesso parlare inoltre di  “ceneri acide dell’osteoporosi”, rilasciate dal latte.  Se, come abbiamo visto,  gli alimenti non possono modificare il pH del sangue, i latticini non sono neanche acido-formanti. Da sottolineare poi che ogni cenere acida rilasciata dagli alimenti è espulsa per mezzo delle urine.
4. Troppo latte fa venire i calcoli renali?
Una ricerca condotta dall’Università di Parma e pubblicata sul New England Journal of Medicine ha evidenziato come i calcoli renali non siano collegati all’assunzione di latte e latticini da assumere in ogni caso anche in caso di calcoli. Dallo studio infatti è emerso che «circa la metà delle persone che soffrono di calcolosi renale si ritrova anche a espellere quantità eccessive di questo minerale attraverso l’urina», a causa di motivi genetici non del tutto chiariti, come spiega il dott. Loris Borghi, Direttore del centro di calcolosi e infezioni delle vie urinarie dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma.
5. Bere latte crudo è pericoloso?Il caso del latte crudo è esploso nel dicembre 2008 con la diffusione dei distributori di latte gestiti dai contadini in seguito alla quale si soo verificati casi di intossicazione da E. Coli O 157. La pericolosità del latte crudo deriva dalla potenziale contaminazione batterica che può avvenire durante la mungitura che può causare una serie di malattie fra cui antrace brucellosi, tubercolosi, salmonellosi e listeriosi. E poi campilobatteriosi, coliti entero-emorragiche e infezioni da stafilococchi e streptococchi. Prima di consumarlo è bene farlo bollire anche se con la pastorizzazione lo si priva di elementi nutritivi e organolettici.
6. La caseina del latte stimola lo sviluppo dei tumori, come dice il “China Study”?
Si è parlato molto del China Study, condotto dal nutrizionista Thomas Campbell che fece unaserie di test in laboratorio in cui somministrò caseina ai topi. Dall’osservazione degli effetti sembrava che la sostanza facesse aumentare il tumore nei topi già ammalati. Tuttavia, quello che non è chiaramente emerso è che la caseina faceva crescere il tumore nei topi solo se somministrata in dosi pari al 20% – che per un ratto è una dose altissima, e lo sarebbe anche per un essere umano. Al contrario, una somministrazione del 5% di caseina provocava l’arresto della crescita del tumore.  A mettere in dubbio la validità del China Study è anche un lavoro condotto dal dott. Andrea Ghiselli, medico nutrizionista e dirigente ricercatore dell’Inran: «Lo studio non ha corrispondenza con la realtà. È stato fatto 40 anni fa e poi smentito dall’attuale letteratura. Tutti gli orientamenti della comunità scientifica attuale sono contrari. Campbell ha condotto per esempio esperimenti in vitro, ha messo la caseina in provetta e ha visto che le cellule di un particolare tipo di tumore stavano meglio: ma certo, la caseina ha fornito loro del cibo, ma sarebbe successa la stessa cosa con qualsiasi altro tipo di nutriente». Infine, nel prestigioso rapporto del World Cancer Research Fund/American Institute for Cancer Research, non si evidenzia per esempio alcun legame tra il consumo di prodotti lattiero-caseari e il cancro dell’ovaio.
7. Il latte fa ingrassare?
Il latte può causare aumento di peso, conferma uno studio condotto dalla Harvard Medical School e il Brigham and Women’s Hospital di Boston, precisando però che questo dipende dalla quantità che se ne assume – cosa che vale per qualsiasi tipo di cibo. Al contrario una ricerca canadese pubblicata su Medicine and Science in Sport and Exercise, e condotta dal prof. Stu Philips e colleghi, ha evidenziato che bere latte al posto dell’acqua durante un allenamento fa incrementare la massa magra e perdere quella grassa.  Infine uno studio prospettico pubblicato sull’International Journal of Obesity (Nature) e condotto su 3.440 partecipanti al “Framingham Heart Study”, ha mostrato come a fronte di un maggiore consumo di prodotti lattiero caseari, si aveva nel tempo un minore aumento di peso e del girovita.
8. Meglio il latte fresco o a lunga conservazione?
Qui, la risposta si rifà un po’ a quella sul latte crudo: dipende da cosa siamo disposti a perdere.  Nel processo di lunga conservazione o UHT, il latte viene trattato esponendolo per circa 3-8 secondi ad alta temperatura (135-145°C). Questo processo permette al latte di guadagnare in conservabilità: si va dai 4-5 giorni per il latte fresco a 4-5 o più mesi per quello UHT. Si guadagna dunque in conservabilità, ma si perde in qualità. A subire la sorte peggiore durante il processo sono le vitamine: così se ne va gran parte della vitamina A, circa il 50% di vitamina C, il 50% di acido folico e il 50% di vitamina B12. E poi il 30% di vitamina B1 e di vitamina B6.
9. Latte per tutta la vita o con moderazione? Qual è il consumo ideale?
Le linee guida scientifiche per una sana alimentazione raccomandano l’assunzione di latte e latticini per tutta la vita. Nello specifico, le linee guida sottolineano che una dieta equilibrata – oltre a una corretta assunzione di frutta e verdura – dovrebbe comprendere tre porzioni al giorno (375 ml) di latte o yogurt, oltre a tre porzioni da 100 g settimanali di formaggio. Con questo regime di assunzione si ottiene la copertura del 43% del fabbisogno di calcio nelle categorie più bisognose come i bambini, i ragazzi e le donne in menopausa). Allo stesso modo, si ottiene la copertura di oltre il 60% del fabbisogno di Calcio negli adulti.  Se con queste percentuali si teme per la propria linea, basti sapere che si arriva a coprire soltanto il 17% del fabbisogno calorico giornaliero di 2.000 Calorie. E, per quanto riguarda colesterolo e grassi, ci si attesta rispettivamente al 20% e al 30% della quota giornaliera consentita. E da anziani? Uno studio condotto dalla Harvard School of Public Health di Boston e pubblicato sulla rivistaHypertension ha indagato sulla correlazione tra prodotti lattiero-caseari, calcio e vitamina D con l’incidenza dell’ipertensione. Lo studio ha coinvolto circa 29mila donne di età compresa tra i 45 anni e oltre. Lo studio è durato dieci anni, e ha mostrato che l’assunzione di prodotti lattiero caseari a basso contenuto di grassi, l’assunzione di calcio e l’assunzione di vitamina D era inversamente associata al rischio di ipertensione, ossia più latticini, meno ipertensione.
10. Per chi è intollerante al lattosio è un bene eliminare il latte dalla dieta?
È nell’intestino tenue, che il lattosio viene idrolizzato in glucosio e galattosio in modo da essere assorbiti e utilizzati dall’organismo. Tutto ciò, di norma avviene grazie alla presenza dello specifico enzima chiamato “beta galattosidasi” o “lattasi”. Se vi è una ridotta, o peggio mancata sintesi della lattasi, accade che vi è una limitazione o impedimento dell’idrolisi del lattosio e, di conseguenza, la sua utilizzazione.
Alla base della cosiddetta “intolleranza al lattosio” vi è dunque l’impossibilità di digerire il lattosio. I sintomi più comuni sono gonfiore e dolore addominale, diarrea, flatulenza.
Sebbene in altri Paesi – specie in Oriente e Medio-Oriente – esistano soggetti geneticamente intolleranti al lattosio, in Europa la carenza di lattasi si manifesta soltanto in circa il 5% della popolazione. Ma, fattori genetici a parte, questa intolleranza si è scoperto essere dovuta principalmente o a stati patologici particolari o proprio a una disabitudine al latte.
Secondo diversi esperti, eliminare dalla propria dieta il latte, specie se crudo, sarebbe alla base di un’intolleranza al lattosio che non sia dovuta a patologie particolari. La pastorizzazione, la bollitura o anche lo scaldare il latte a temperature superiori ai 47°C distrugge la maggioranza degli enzimi necessari alla buona digestione del latte – tra cui il lattasi. Ecco pertanto che, prima di eliminare il latte dalla dieta, sarebbe bene analizzare a fondo quale possa essere il problema.
IN CONCLUSIONESe dunque le proprie convinzioni personali etiche, o gravi problemi di salute, non impongono di eliminare latte e latticini dalla dieta, analizzando i risultati di studi clinici e scientifici si evidenzia come la maggioranza sia a supporto di quanto da sempre ritenuto dalla saggezza popolare, che vede nell’uso equilibrato di questi alimenti una preziosa fonte di nutrienti e sostanze utili per la salute. Bere latte può portare a un bilancio positivo del calcio, indicando, tra l’altro, che è più quello che viene assorbito che non quello che viene espulso. Diversi altri studi hanno infine dimostrato che il fosfato in generale aumenta la ritenzione del calcio e migliora la salute delle ossa.

ECCO PERCHÉ I PROBIOTICI (E LA DIETA MEDITERRANEA) SONO UNA MANNA CONTRO I TUMORI




Una terapia contro il cancro è spesso sinonimo di disturbi gastrointestinali. Diarrea, nausea, vomito oppure inappetenza sono infatti alcuni degli effetti collaterali legati proprio alle cure per sconfiggere un tumore. 

È per questo motivo che dieta mediterranea e probiotici, i batteri buoni contenuti nello yogurt e in molti altri alimenti fermentati, sono fondamentali non solo per gestire meglio la malattia oncologica e alleviare gli effetti collaterali delle terapie, ma anche per prevenire il cancro stesso.
A dirlo è un gruppo di esperti riuniti in occasione del convegno nazionale “Qualità di vita del Paziente Oncologico: Alimentazione e Nuove Terapie”, organizzato a Roma dalla Fondazione “Insieme contro il Cancro”.
All’evento è stato presentato un sondaggio da cui è emerso che in Italia il 96% dei pazienti che stanno seguendo una terapia antitumorale, devono affrontare anche una serie di disturbi gastrointestinali per i quali spesso non si cerca una soluzione. Infatti, il 43% dei malati cerca di far fronte da solon ai disturbi gastrointestinali scatenati dalle terapie, senza rivolgersi allo specialista; nel 25% dei casi, invece, chiedono consiglio a familiari o conoscenti.
Ecco, allora, che possono entrare in campo i probiotici: tra i più conosciuti troviamo i lactobacilli e i bifido-batteri. I probiotici sono presenti in alimenti fermentati come lo yogurt, il kefir, i crauti, il miso, il tempeh, il kombucha, i formaggi fermentati e il latticello, ma anche la pasta madre. I probiotici, inoltre, sono presenti in specifici integratori farmaceutici e erboristici, meglio noti come "fermenti lattici".

Francesco Cognetti, presidente della Fondazione, afferma che i probiotici “possono ridurre la gravità e la frequenza dei disturbi all'apparato gastro-intestinale provocati da farmaci chemioterapici, trattamenti radiologici e terapie biologiche”. Cognetti, però, lamenta lo scarso livello di conoscenza e di utilizzo dei 'batteri amici' in oncologia: essi, infatti, sarebbero consigliati solo al 29% dei pazienti e il 70% di loro non sa che possono alleviare la diarrea o i disturbi intestinali.
Oggi, il numero degli italiani che vivono dopo una diagnosi di neoplasia aumenta del 3% ogni anno - aggiunge - e si tratta ormai di patologie non solo curabili ma in molti casi anche guaribili; quindi, le esigenze dei malati sono cambiate e dobbiamo riuscire a garantire una buona qualità di vita sia durante che dopo le terapie”.
E la dieta mediterranea? Come non può dare un aiuto anche la dieta per eccellenza? Secondo l’epidemiologo Maurizio Montella dell’Istituto Pascale di Napoli, la dieta mediterranea è in grado di “potenziare l’attività dei farmaci e ha fatto registrare fino al +10% in termini di sopravvivenza, ma naturalmente molto dipende dal tipo di neoplasia e dalle condizioni generali”.
Il segreto, allora, miei cari è sempre quello. Anche quando si affronta un periodo così difficile come può essere una terapia contro un tumore, non bisognerebbe mai perdere di vista una sana alimentazione: frutta, verdura, pesce, fibre non dovrebbero mai mancare. Tutto, compreso il divieto assoluto di fumo e alcol, permette di giocare d'anticipo sul cancro, ma anche di affrontare la malattia o convivere con le terapie necessarie con più serenità.

giovedì 3 dicembre 2015

Come riconoscere i sintomi di un’ulcera allo stomaco?



Oltre all'abuso di farmaci antinfiammatori, tenete presente che le ulcere allo stomaco possono essere la conseguenza di una componente genetica. Se è questo il vostro caso, dovete potenziare le precauzioni.
Milioni di persone in tutto il mondo soffrono di ulcere allo stomaco. Nella maggior parte dei casi, si tratta di un’infezione dovuta al batterio Helicobacter Pylori e non a causa del cibo o delle tensioni emotive, come spesso si pensa.

Informazioni importanti sulle ulcere allo stomaco

Si tratta di una lesione della membrana che ricopre lo stomaco e la prima parte dell’intestino tenue (duodeno). Queste ferite possono presentarsi negli uomini e nelle donne in ugual misura. Il sintomo principale di questo problema è la sensazione di bruciore allo stomaco e nella zona dell’ombelico, pur non avendo mangiato nulla.

Come riconoscere un’ulcera allo stomaco?

È bene riconoscere i sintomi di queste lesioni della membrana per poter poi ricorrere ad alcuni rimedi naturali. Fate molta attenzione in caso di:

Dolore all’addome

Senza aver fatto alcuno sforzo o aver mangiato troppo, si sente una specie di bruciore tra lo sterno e l’ombelico. L’intensità e la durata di questo dolore possono variare.
Solitamente questo fastidio si manifesta tra un pasto e l’altro, quando lo stomaco si svuota. La descrizione più corretta per i sintomi dell’ulcera è “bruciore al ventre”. È probabile manifestare il bruciore soprattutto durante la notte, quando si ha fame o quando è passato molto tempo dall’ultimo pasto.

Altri sintomi

Come vi abbiamo già anticipato, le ulcere allo stomaco sono accompagnate da sintomi diversi. È molto importante fare attenzione e non dimenticare che non sempre si presentano gli stessi sintomi insieme (alcuni potrebbero non manifestarsi mai). Tra i sintomi dell’ulcera ricordiamo:
  • Eruttazione eccessiva
  • Flatulenza eccessiva
  • Incapacità di bere liquidi
  • Sensazione di stomaco pieno pur non avendo mangiato
  • Sensazione di appetito dopo aver mangiato
  • Nausea leggera nelle prime ore del mattino
  • Perdita dell’appetito
  • Sensazione di malessere generale
  • Stanchezza
  • Perdita di peso.

Sintomi di un’ulcera grave

Se non prestate la giusta attenzione ai sintomi appena elencati e non seguite alcun tipo di trattamento, naturale o meno, le ulcere diventano croniche e provocano:
  • Vomito (anche con sangue)
  • Feci scure e pastose, di aspetto simile al catrame
  • Sangue nelle feci.

Propensione a sviluppare ulcere

Anche se le ulcere sono causate da un batterio, ci sono alcune persone più vulnerabili di altre a sviluppare questo problema. Coloro che hanno più probabilità di sviluppare ulcere allo stomaco sono:
  • Persone già infette dal batterio H. Pyroli o altri batteri.
  • Persone che assumono farmaci antinfiammatori non steroidei con molta frequenza. Tra questi ricordiamo l’aspirina e l’ibuprofene.
  • Persone con precedenti in famiglia.
  • Persone che consumano alcol in eccesso.
  • Pazienti con malattie renali, polmonari o epatiche.
  • Persone di età superiore ai 50 anni.

Consigli per prevenire le ulcere allo stomaco

Se anche voi state iniziando a manifestare i sintomi di un’ulcera allo stomaco o rientrate nel gruppo di persone che hanno maggiori probabilità di svilupparla, è necessario cambiare alcune delle vostre abitudini. La soluzione migliore è la prevenzione. Assicuratevi di:

Smettere di fumare

Esiste una relazione tra l’abitudine del fumo e la formazione di ulcere, così come con la mancata cicatrizzazione delle ferite alla mucosa e la ricorrenza a presentarle nuovamente.

Evitare il consumo di alimenti nocivi per lo stomaco

Stiamo parlando degli alimenti che compromettono la salute dello stomaco e aumentano le possibilità di formazione di ulcere. Tra i cibi vietati per evitare lo sviluppo di queste lesioni ricordiamo:
  • Caffè
  • Cioccolato
  • Alcol
  • Menta
  • Pomodoro
  • Grassi
  • Cibi piccanti
  • Aglio crudo
  • Agrumi

Evitare l’assunzione di farmaci

Certe pillole possono aiutarvi a sopportare il dolore, ma non fanno altro che peggiorare altri sintomi nel caso dell’ulcera. Ad esempio, gli antinfiammatori per l’artrite o i dolori muscolari compromettono le mucose dell’apparato digerente. Consultate il vostro medico perché vi dia alternative o trattamenti naturali.

Frullati e rimedi contro le ulcere allo stomaco

Se siete giunti alla conclusione di avere un’ulcera allo stomaco perché ne avete riconosciuto i sintomi, allora potete seguire alcuni di questi trattamenti casalinghi ideali contro questo problema:
  • Mescolate 2 albumi e 2 cucchiai di olio di oliva e bevete il composto a digiuno.
  • Preparate un succo con ½ cavolo verde e 1 gambo di sedano. Aggiungete acqua e dolcificate con del miele.
  • Mangiate una banana verde cotta tutti i giorni.
  • Preparate un frullato con 1 banana e 1 fetta di papaya e bevete il succo due volte al giorno.
  • Consumate crusca di frumento in diverse preparazioni.
  • Preparate un succo curativo con ½ kiwi e ¼ di melone. Aggiungete l’acqua necessaria e bevetelo al momento.
  • Fate bollire due cucchiai di camomilla e 2 di melissa in una tazza di acqua. Lasciate in infusione 5 minuti, filtrate il tutto e bevete l’infuso dopo cena.
  • Mescolate 1 cucchiaio di Althaea officinalis e 1 cucchiaio di zenzero in una tazza di acqua bollente. Lasciate riposare per qualche minuto e poi bevete l’infuso.
  • Preparate un infuso con 1 litro di acqua ogni 2 cucchiai di fieno greco. Filtrate e dolcificate con del miele.
  • Masticate bene e ingoiate un cucchiaio di semi di lino. Potete anche macinarli in un mortaio o con il frullatore.
  • Preparate un frullato con 2 carote sbucciate e 1 foglia di cavolo bianco. Filtrate il succo e bevetelo tra un pasto e l’altro.
  • Consumate miele d’api crudo in diverse ricette, ad esempio con il pane tostato o con i biscotti.
  • Mettete 2 cucchiai di aloe vera in un bicchiere di acqua e aggiungete 1 cucchiaio di miele. Bevete il succo ottenuto 15 minuti dopo pranzo e dopo cena.
  • Preparate un tè con 1 cucchiaio di camomilla, 1 cucchiaio di verbena e 1 di iperico (erba di San Giovanni) in una tazza di acqua calda. Filtrate l’infuso con un colino e bevetelo.